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Netflix creepy? Potrebbe andare peggio, potrebbe twittare Pornhub!

Netflix ha tirato le somme dell’anno appena passato… e lo ha fatto a suo modo. Il team comunicazione dell’azienda californiana si è sempre distinto per la sua brillantezza e simpatia, ma questa volta ha aggiunto anche un pizzico di sarcasmo saccente al mix di ingredienti.

In un tweet dall’account Netflix US, l’azienda ha ironizzato sulle 53 persone che hanno guardato “A Christmas Prince” ogni giorno negli ultimi 18 giorni. “Who hurt you?” chiede Netflix agli spettatori compulsivi del film natalizio. E il pubblico in parte si indegna, in parte risponde di battuta in battuta.

Perché l’indignazione?

Come se non fosse ovvio che Netflix collezioni informazioni sugli utenti. È proprio il meccanismo di base che consente alla piattaforma di streaming di proporre una libreria ad hoc per ogni utente, basata sui suoi gusti, su ciò che ha già visto e che Netflix ovviamente conosce.

Di fatto moltissime aziende utilizzano big data e analytics per le loro campagne di marketing, o per migliorare i servizi. Solo che noi non ne siamo coscienti – e dovremmo, perché le privacy policy sono (quasi) sempre chiaramente espresse dalle aziende – eppure non ce ne rendiamo conto e ci stupiamo. Netflix ha usato i dati non solo per personalizzare il servizio di streaming ma, in questo caso, anche per il social media marketing. Possiamo dire che sia stata più trasparente di altre compagnie, al massimo, ma non meno rispettosa della privacy. Non ha fatto alcun nome o rivelato alcuna informazione sensibile che fosse riconducibile a qualcuno di specifico. In compenso è riuscita a chiamare in ballo i propri utenti in maniera ironica e forse un po’ provocatoria, cosa che non tutti hanno apprezzato, definendo Netflix addirittura creepy. Che sia stata ortodossa o meno, la gestione dell’account twitter di Netflix ha certamente creato un piccolo caso mediatico intorno alla vicenda e, trattandosi di marketing, si può dire che l’esperimento sia riuscito, dunque.

Anche un altro brand di successo ragiona con meccanismi simili ed è Spotify, che ha da poco avviato una campagna ads proprio basata su dati raccolti riguardo ai gusti musicali dei propri utenti.

Il concetto è molto simile a quello sfruttato da Netflix, eppure nessuno ha alzato la voce contro la piattaforma musicale più famosa del mondo. Perché ce la siamo presa tanto con Netflix? Perché ha messo in ridicolo lo spirito natalizio? Perché ci siamo sentiti chiamati in causa come se ci avessero preso in giro per le decine di volte che abbiamo visto “Mamma ho perso l’aereo”? O forse per pigrizia: è più facile replicare a un tweet che a un cartellone.

Alla fine l’utente più illuminato di tutta questa polemica è PitchforksAtTheGate, che risponde così: “Could be worse. @Porhub could be tweeting…”

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Zuckerberg cambia algoritmo e le aziende tremano

Facebook privilegerà gli amici alle pagine e sarà la rivincita del marketing emozionale.

Lo ha annunciato proprio Mark Zuckerberg sul suo profilo FB: l’algoritmo del social network più famoso e diffuso al mondo sta per cambiare.

Come?
I social media manager di tutto il mondo già tremano. Pare infatti che il fondatore di Facebook auspichi un “ritorno al passato”, un passato recente, si intende. Quello in cui si usava il social solo per l’interazione tra utenti e non per la condivisione di contenuti pubblicitari o di informazione.

Quando Facebook è sbarcato in Italia, cioè circa una quindicina di anni fa, le persone non conoscevano ancora le potenzialità dello strumento. Lo si utilizzava per mantenere i contatti con amici conosciuti in vacanza o parenti lontani, per sentirli vicini. Ora la sua natura è molto diversa, così come la sua potenza, la sua capacità di veicolare informazioni, giuste o scorrette che siano, e di raccogliere informazioni sugli utenti.

Una nobile intenzione?
Sembra che il papà di Facebook voglia restituire alla sua creatura quelle nobili intenzioni che negli anni ha smarrito, almeno in parte.

Quindi il nuovo algoritmo favorirà i post degli amici piuttosto che delle pagine. Meno news e contenuti di marketing a favore di foto private, contenuti intimi e personali.

Ma attenzione. Ci sarà ancora spazio per le pagine, purché godano di una buona interazione con il pubblico. Uno degli obiettivi del rinnovamento, infatti, è ottenere un social network sempre più attivo e frenare la fruizione passiva dei contenuti delle pagine, sponsorizzati o meno.

Chi sopravviverà quindi a questa ecatombe?
Difficile dirlo. Sicuramente chi ha puntato sul consolidamento del rapporto con gli utenti e di una connessione empatica è un passo avanti agli altri. Al contrario, chi si è limitato a sponsorizzare post spiccatamente commerciali o a usare la propria pagina come si usa la vetrina di un negozio, avrà molte difficoltà a cambiare rotta velocemente. Coloro che sembrano trarre vantaggio da questo cambio di rotta sono le personalità che sfruttano la propria riconoscibilità per fare business. Penso a tutti quei lavoratori che vendono se stessi come liberi professionisti e hanno un buon seguito sui social network, sfruttando proprio il profilo personale. I cosiddetti influencer che hanno centinaia di like e condivisioni saranno privilegiati dal nuovo algoritmo, poiché non immediatamente bollati come “brand”.

In realtà la logica premiante per le interazione varrà anche per le stesse pagine aziendali. Per questo sarà il momento di raccogliere ciò che si è seminato con il marketing emozionale e la filosofia “Ceres”, per intenderci.

Si tratterà di un’epica rivincita su chi bollava come inutili le campagne social non finalizzate direttamente alla vendita, ma piuttosto alla creazione di una community, di un legame con l’utente e possibile cliente. Una logica che adesso probabilmente darà i suoi frutti.

Questa innovazione, quindi, potrebbe rendere quasi tutti contenti:

  • gli utenti, che vedranno sul proprio newsfeed solo post a cui sono davvero interessati o che reputano coinvolgenti in qualche modo;
  • le aziende e le agenzie di comunicazione, che da tempo hanno capito che Facebook non è un canale di vendita diretto ma un luogo dove acquisire la credibilità e la simpatia di chi è o potrebbe diventare cliente, scegliendo te su un competitor al momento dell’acquisto.

Unici scontenti? I fanatici del marketing duro e crudo, generico e senza stile o profilazione. Chi non ha ancora capito che mostrare la merce non basta più: questa è l’epoca dello storytelling aziendale.

Voi lo avevate già capito?

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Come utilizzare i social per trovare Lead

Si definiscono “lead” i potenziali clienti che mostrano un certo interesse nei confronti del brand, dei prodotti o dei servizi di un’azienda.

Si tratta di contatti che, ad esempio, si sono iscritti alla newsletter, hanno scaricato un contenuto o hanno contattato telefonicamente o per email l’azienda in questione.

Uno dei principali vantaggi di utilizzare i social media per generare lead è la possibilità di concentrarsi su profili altamente qualificati, grazie al targeting avanzato: i social media permettono, infatti, di entrare in contatto con un pubblico molto vasto e con una miriade di informazioni volontariamente condivise.

Allo stesso tempo, uno degli errori più facili da commettere è cercare i contatti sul social network sbagliato: una lead generation ideale necessita, prima di tutto, di conoscere il proprio target, le sue abitudini e le sue esigenze.

Vista la maggioranza di utenti è facile pensare che Facebook possa essere la scelta migliore, ma non è sempre vero: circa la metà delle aziende che operano in ambito B2B, infatti, genera nuovi lead attraverso Linkedin, meno del 40% usa Facebook e appena il 30% Twitter.

Un altro aspetto fondamentale è il tipo di lead che si vuole ottenere, perché è in funzione di questa scelta che si studia la strategia, che solitamente prevede due fasi: creazione di contenuti in grado di intrattenere e interessare gli utenti e condivisione degli stessi su altre piattaforme (altri social network, blog, siti web).

Quando si parla di Lead è importante comprendere che non si tratta di un guadagno facile né tanto meno immediato. Il percorso che porta i Lead a essere Clienti richiede un investimento di tempo definito “nurturing”, cioè nutrimento. I Lead sono le sementi che piantiamo in quantità; sappiamo che dobbiamo prenderci cura di ogni seme, innaffiandolo regolarmente e concimando il terreno con la consapevolezza che solo alcuni daranno vita a una pianta.

Ma come si nutrono i lead?

Con contenuti validi e interessanti.

Può sembrare una perdita di tempo o un investimento sproporzionato ma, studiando bene il target di riferimento, la Lead generation può creare un bacino di utenti/clienti più che solido, che contribuirà direttamente al benessere aziendale o aiuterà ad ampliare ulteriormente reputation e contatti attraverso il passaparola digitale.

Feed your lead!

Per concludere, vi lascio con una domanda che mi sono posto spesso, di recente: “Di che colore è il vostro Brand?”

Un colore è identificativo e la risposta a questa domanda non è mai definitiva al 100%. Provate a rifletterci, individuate l’essenza del vostro brand, datele un colore. Sceglietelo d’impulso e accostatelo alla vostra filosofia, al vostro metodo, al vostro rapporto con il brand.

Vi verrà spontaneo, a un certo punto, chiedere di più.

Il colore scelto d’istinto non è definito, ha in sé milioni di sfumature. Ed è solo con uno studio approfondito che si scova la gradazione capace di rispecchiare al 100% la vostra Brand Essence.

Se il vostro istinto vi porta verso un giallo, per intenderci, in un secondo momento vi verrà da chiedervi se quel giallo sia giallo ambra, crema o giallo limone. È questo il percorso che vi invitiamo a fare, con noi al vostro fianco. Saremo in grado di guidarvi, mostrarvi ogni possibile gradazione, lasciando comunque che siate voi a trovare la vostra.

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Essere o non essere? No, il problema è l’essence

Il brand è ciò che il cliente percepisce, un insieme di sensazioni e di emozioni che rappresentano la reputazione dell’impresa. Per definizione, prende posizione su uno specifico modo di essere e di pensare, acquista caratteristiche quasi umane – e infatti parliamo di anima, essenza – e, come gli umani, ha la possibilità di evolvere nel tempo.

Il brand necessita di un nome giusto, un nome che coinvolga il pubblico, facile da pronunciare e che tenga fede al mercato di riferimento, e di un logo che non sia banalmente descrittivo ma abbia in sé una capacità evocativa non indifferente.

Per ottenere il massimo dell’efficacia, la brand essence dev’essere:

  • Unica: deve evidenziare ciò che rende il prodotto offerto dall’azienda diverso dai competitor
  • Intangibile: il brand deve suscitare emozioni, qualcosa che non possa essere toccato con mano ma in grado di colpire
  • Ben definita: una o massimo due/tre parole devono bastare per esprimere il core dell’azienda, un messaggio semplice e facile da ricordare che si imprima nella memoria
  • Esperienziale: cattura le emozioni che il cliente prova con l’esperienza del prodotto, e le riporta
  • Significativa: deve avere importanza per il target di riferimento dell’azienda
  • Ripetitiva: la brand essence deve realizzarsi ogni volta che il cliente interagisce con il brand
  • Durevole: non deve mai cambiare nel tempo ma rispettare il patto fatto con i propri clienti
  • Autentica: deve rappresentare onestamente il brand per essere accettato dai consumatori
  • Adattabile: dev’essere in grado di resistere nonostante la possibile crescita del business.

Individuare l’essenza del proprio brand è indispensabile per qualunque impresa e rappresenta il primo passo verso il mondo del marketing: la brand essence rappresenta, infatti, il più grande punto di forza di un’impresa, ciò attorno al quale ruoterà il suo mercato.

Solo dopo aver definito la propria brand essence si può parlare di strategia di marketing o di piano d’azione, di target e di commercio vero e proprio.

Un esempio di come una brand essence ben definita sia un assoluto vantaggio, è certamente quello di Ceres. Ha da qualche anno messo in atto una strategia di real time marketing possibile solo grazie a un’essenza inossidabile e delineata. Ceres è decisa, ironica e dissacrante e così lo è la sua comunicazione.

Solo un brand che conosce alla perfezione il suo target può permettersi di essere irriverente come Ceres senza rischiare di perdere consenso.

Se il brand fosse un albero, la sua essenza sarebbe la linfa, l’attributo più importante che lo distingue dalla concorrenza, la costante tra tutte le categorie di prodotto del brand.

A proposito, da qualche settimana ci gira in testa una domanda:

“Di che colore è la vostra azienda?”.

Rifletteteci e datevi una risposta prima di pancia e poi di testa. Se la risposta non è significativa, sentiamoci, potrebbe essere interessante scoprire come mai il “giallo della pancia” non corrisponde al “blu della testa”.

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Come si gestisce l’Instant communication di un evento?

Venerdì 13 ottobre si è svolta la settima edizione dell’E-Commerce Day presso il Mirafiori Motor Village di casa FCA a Torino. Villa Consulting era presente per occuparsi di tutta l’instant communication dell’evento.

Ma come si gestisce il live posting in questi casi?

Seguire un evento e gestirne la comunicazione live non è una cosa che si improvvisa con uno smartphone tra una chat e l’altra. Come ogni cosa fatta in ottica business, va fatta con metodo e professionalità. Il perché lo si fa, lo ha spiegato molto bene il mio socio Alessandro Chiavacci che sarà con me venerdì. Già, una persona non basta per gestire la comunicazione di un intero evento di questo tipo.

La preparazione inizia appena viene annunciato il programma con gli orari degli speech:

Step n.1

Si scarica l’elenco dei relatori e si dà un’occhiata alla loro digital presence sui social. Preferibilmente si selezionano gli account aziendali e le pagine pubbliche dei soggetti, ma se il profilo personale ha un taglio professionale, si prende in considerazione anche quello.

Step n.2

In una tabella si raccolgono tutti gli account presi durante lo step 1 e si creano così i tag per i nostri live post.

Step n.3

Si crea una lista di tag utili da utilizzare nella concitazione del live tweeting. Si parte da quello ufficiale dell’evento fino a quelli argomento dei dibattiti (visibili dal programma).

Step n.4

Per Twitter ci creiamo un bella scrivania ad hoc per l’evento. Con Tweetdeck, infatti, possiamo gestire più profili contemporaneamente, seguire l’hashtag dell’evento e i dibattiti intorno all’argomento, monitorare i profili dei relatori e degli altri partecipanti per tenere d’occhio i tweet da ritwittare. Sempre con quest’App potete gestire la programmazione dei tweet. Ad esempio il primo “cinguettio” di ogni relatore può essere il titolo dello speech, accompagnato dagli hashtag dell’evento e dai tag relativi a chi parla. Come vedete, anche il live posting può essere almeno in parte pianificato.

Finite le operazioni più tecniche non resta che decidere quanto essere Push con la frequenza dei post. Per Facebook è sempre meglio andarci piano. Essendo una piattaforma dalla vocazione più emozionale che business è consigliabile accompagnare un messaggio significativo con una testimonianza video o una bella foto o grafica. E non andare mai oltre i 2 o 3 post all’ora, pena la perdita di follower! Con Twitter invece potete strafare e raccontare fedelmente ogni passo dell’evento. Le citazioni sono i tweet perfetti, ma anche un breve commento può arricchire il vostro lavoro. Per Instagram, se non riuscite a fare delle foto valide, potete mettere una pezza utilizzando una bella grafica per inserire le quote degli speaker, una a relatore può andare bene. Ovviamente gli scatti dei relatori più importanti sono sempre d’obbligo, per non parlare delle foto del ricco buffet finale: quelle mettono d’accordo tutti!

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I numeri sui social: qualità o quantità?

Oggi una delle cose più importanti nel mondo digitale è il pubblico che abbiamo. Ricevere il consenso e misurare la sua consistenza, quantificare l’interesse che si riceve, sono tutti indici utilissimi che ci descrivono il successo o meno della nostra attività sul web. Anche perché, alla base delle interazioni online, c’è una componente “residua” del mondo offline: la fiducia. Infatti, soprattutto nel mondo digitale – dove l’interazione è mediata da macchine – diventa importante stabilire un rapporto basato sulla fiducia.

La quantificazione di questi indici si traduce, banalmente, in numeri. Numeri che possono tradurre una situazione reale oppure fittizia, e che quindi potrebbero potenzialmente falsare la nostra analisi. Se comprendiamo che descrivono una situazione con reale riscontro nella realtà, allora possiamo davvero trarne beneficio, sia per migliorare il tiro, sia per capire i nostri punti di forza.

Da cosa sono dati i numeri reali (o realistici)? Dall’interazione degli utenti. Se questa interazione, questa partecipazione e questo coinvolgimento derivano davvero dall’entusiasmo degli esseri umani che stanno dietro alle macchine, saranno click che condizioneranno sicuramente gli algoritmi, facendoci capire il valore del contenuto (o del prodotto) che proponiamo.

La visibilità, quindi, dev’essere ottenuta organicamente, come frutto di condivisioni e conversazioni online, cioè di click che aprono il contenuto e mostrano per questo un reale interesse degli utenti.

Non si tratta di una faccenda puramente matematica: le interazioni sono importanti per il loro livello umano. Le interazioni degli utenti, delle persone, sono la base sulla quale costruire un rapporto con loro, uno scambio che può generare l’opportunità. Non c’è insomma da elogiare troppo pagine con migliaia di follower se, in quanto a rapporti, contano invece poche interazioni. Meglio avere meno seguaci, o fan – chiamateli come volete – ma attivi, che mostrino un interesse per ciò che proponete.

Ma come si fa la differenza in un mondo social sempre più popolato? Bisogna fare un confronto fra il numero di fan e quello delle loro interazioni, fra apprezzamenti, condivisioni e commenti. I social media non rappresentano solo un mondo di numeri e bit, ai social media corrispondono ambienti e persone fisiche. È il vostro atteggiamento che definisce il successo del vostro Personal Branding.

Più penserete alle persone, più avrete da loro risultati e riscontri. Più penserete alla moltitudine di emotività dietro ai click, più vi sarà chiaro come attirarli. Aprite la vostra mente e sentirete “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

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Mercati esteri e Social Media

Mi piacerebbe condividere con voi una riflessione sulla connessione tra l’internazionalizzazione e i social media.

Un’azienda che ha come obiettivo il mercato mondiale non può astenersi dall’approfondire lo studio di una strategia di comunicazione legata all’utilizzo dei social media nelle varie nazioni di riferimento.

Con il termine internazionalizzazione si intende il processo attraverso il quale le aziende instaurano diverse relazioni nei paesi interessati. Diventa fondamentale perciò seguire l’andamento dei social per poter definire la strategia più adeguata alle nostre esigenze.

social media sono diventati strumenti attraverso i quali è possibile individuare ciò che un determinato target richiede a un prodotto. Possono supportare le imprese nelle fasi di inserimento nei diversi mercati, dato che alla base del loro funzionamento vi è la relazione, che ne diventa l’elemento chiave.

L’utilizzo dei social permette di accrescere la brand awareness, cioè la percezione del marchio, riducendo le incertezze e i rischi dell’ingresso nei mercati internazionali.

È necessario che le aziende investano in questi mezzi consapevoli delle effettive opportunità che offrono.

Investire nei social media significa puntare alla creazione di network internazionali creando una strategia di comunicazione attenta sia alle conversazioni sul web sia all’analisi delle ricerche attraverso i motori di ricerca, per intuire ciò che i potenziali clienti vorrebbero. Lo studio dettagliato di questi dati permette di raggiungere i target e i Paesi in cui vogliamo spingere i nostri prodotti.

Affidarsi a dei professionisti sarà fondamentale, poiché vi aiuteranno a definire gli strumenti più utili alle vostre strategie di business.

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Perchè ha senso fare instant communication di un evento

Venerdì 13 ottobre si è svolto l’E-Commerce Day 2017, per il terzo anno consecutivo al Mirafiori Motor Village di Torino. Villa Consulting ha partecipato come partner ufficiale dell’evento per l’instant communication. Ma a cosa serve fare instant communication di un evento?

Ad aumentare il buzz intorno all’evento e ai brand che partecipano.

  • Riunisce la community che ruota intorno all’evento e la stimola a fare network attraverso commenti e condivisioni. Al tempo stesso permette anche a chi non può essere presente di assistere all’evento o di coglierne gli spunti più importanti.
  • Consente a chi è in sala di condividere e commentare quanto accade, arricchendo l’intervento con link e approfondimenti.
  • Fornisce un buon engagement sui vari live-post: possono nascere nuove collaborazioni o si può aumentare il numero di follower che vengono a conoscenza della nostra azienda tramite la ricondivisione da parte di altre realtà o dall’account ufficiale dell’evento.

Inizio dicendo che l’instant communication non è una live di Facebook! Chiariamoci immediatamente. Per quanto siano molto di moda e molto carine da farsi (spesso più da farsi che da vedersi, ahimé), le live sono semplicemente un succedaneo social dello streaming. L’instant communication, per come lo intendiamo noi, è un reportage social di quanto succede all’interno dell’evento. Un vero e proprio racconto live dei principali temi, degli approfondimenti e delle curiosità che un evento e i suoi relatori raccontano alla platea. Il tutto trasmesso dentro il mondo social con tutte le relative dinamiche di amplificazione, dialogo e interazione.

Come ben sappiamo, i social sono tutti diversi tra loro e al di là delle varie infografiche che ci raccontano lo stato dell’arte di quello specifico social, non tutti sono adatti a un certo tipo di comunicazione. Per l’instant communication il social che la fa veramente da padrone è sicuramente Twitter.

Twitter non attraversa un bel momento, lo sappiamo, ma il live tweeting è ancora il suo miglior proposito per la sopravvivenza. Negli anni lo abbiamo visto nei contesti più disparati.

Ha dato una spinta agli ascolti di trasmissioni come X-Factor e alla fiction Braccialetti Rossi, dove gli stessi membri del cast sono intervenuti per incuriosire i fan e confrontarsi con loro. Viviamo nell’era del multitasking e restarcene sdraiati sul divano non ci basta più; ci prudono le mani e restare immobili davanti alla TV non è più un’opzione contemplata: preferiamo tenerle impegnate a digitare sui telefonini e principalmente sui social. Condividere è ancora una volta la parola d’ordine, vogliamo dire la nostra su tutto e non sentirci mai soli, nemmeno sul divano di casa.

Ma per il B2B che significato può avere? Per un evento business in cui vengono trattati argomenti specifici e con finalità commerciali, quali possono essere le leve da usare per stimolare il dialogo e creare quel famoso rumore di fondo di cui parlavamo all’inizio? Sicuramente l’obiettivo non è far passare il tempo agli spettatori né tanto meno farli sentire meno soli. Come dicevamo prima, l’obiettivo è coinvolgere la platea facendola sentire parte integrante di uno “stream di comunicazione” in cui loro sono autori, produttori e distributori. Lanciare provocazioni, chiedere l’opinione sugli argomenti di cui si sta dibattendo in sala, mescolare contenuti editoriali a contenuti visivi per rafforzare la forza della comunicazione, spingere su account e hashtag per favorire il dialogo e convogliare nello stesso canale tutte le comunicazioni spontanee, rispondere ai messaggi e favorire la propagazione dei contenuti istituzionali e user generated… insomma, il live posting è un’attività che va architettata e preparata nei minimi dettagli perché possa definirsi marketing.