Categorie
Strategia

Tu vuo fa l’americano, ma anche no!

Black Friday, Best Price, Brand, Fee, Concept, Brand Essence, Copywriter, Testimonials, ecc. Il mondo della pubblicità è infarcito di inglese. Giusto o sbagliato? Come avrete capito se vi è già capitato di leggere i miei articoli… dipende!

L’inglese è una bomba: chiaro, conciso, comunicativamente efficace. Ma sappiamo dove fermarci?

Ragioniamo sulla lingua e i suoi significati correlati. L’inglese è la lingua più associata alla tecnologia per ovvie ragioni: la Silicon Valley e tutto il know how made in USA. Da quando esistono i PC insomma… e come volevamo chiamarli, calcolatori personali? Davvero?

Un’ondata troppo ricca di oggetti e concetti nuovi perché le varie lingue – non solo quella italiana – producessero i relativi termini facendoli diventare di uso comune. Inoltre, gli oggetti un tempo riservati all’ambito lavorativo oggi sono diventati device alla portata di tutti, bambini compresi.

Ok, quindi passino termini come mouse, personal computer, smartphone, wireless etc., arrivati prima che fosse possibile contrastarli e assolutamente funzionali al proprio utilizzo.

Ma non sempre è utile abusare della lingua anglosassone. Ad esempio, come vi suona l’Italian Bakery vicino a Porta Venezia a Milano? Diciamolo: un po’ stona. Soprattutto se consideriamo che, in fatto di cibo, l’italiano è la lingua più diffusa per dare lustro e riconoscibilità alle attività che si occupano di ristorazione.

Quanti Peppino, Gennaro, Pizza & Pasta, avete visto nei vostri viaggi all’estero? Questo significa che un idioma porta con sé la sua cultura di riferimento, le sue caratteristiche più forti. La lingua italiana può solo essere di supporto alla causa del buon cibo.

Nonostante il concetto di slow-food volesse contrapporsi all’emulazione USA delle grandi catene dove il cibo è solo consumo, lo ha fatto mutuando un termine della lingua da cui avrebbe dovuto discostarsi. In quel caso, però, il gioco provocatorio basato sugli opposti slow/fast reggeva e vinceva l’incoerenza della scelta.

Ma i veri vincitori della guerra tra hamburger sono stati i fondatori dell’azienda piemontese Mac Bun, una agrihamburgeria che serve carne di Fassone di prima qualità. Il nome in piemontese significa “solo buono” ma, per la sua assonanza con la catena di fast food americana, ha subito addirittura una diffida da Mc Donald’s e ha dovuto così autocensurarsi in M** Bun. Ma ormai la macchina del marketing era bella che avviata e la minaccia del pagliaccio giallo non ha fatto altro che accrescere la fama dei ristoranti M** Bun.

Quindi se Italiano sta a cibo, ed è altrettanto assodata l’equazione Inglese/tecnologia, credo si possa giustificare anche quella Inglese/pubblicità. Gli USA sono i consumatori e produttori per eccellenza di advertising e ne hanno da insegnare a tutto il mondo. Va bene allora mutuare concetti che abbiamo appreso decenni dopo di loro, come quelli con cui ho aperto questo articolo. Va bene anche perché strizzano l’occhio al cliente e danno l’aria di conoscere i misteriosi meccanismi del marketing, e in effetti è proprio così.

Tutti gli ambiti tecnici hanno i loro linguaggi specifici, spesso orientati verso l’una o l’altra lingua. Così come i termini medici e scientifici trovano origine ed etimologia nel latino e nel greco, così fenomeni e attività più recenti si accostano più naturalmente all’inglese. Niente di male.

Ma attenzione: non lasciamo che in ogni ambito la comunicazione si appiattisca sull’inglese. Sarebbe fuorviante e talvolta ridicolo, macchiettistico, come l’Italian Bakery di Milano.

E soprattutto non abbiamo la pretesa di conoscere l’inglese perché appiccichiamo qua e là alcuni termini all’interno del nostro discorso. Ricordiamoci con umiltà che la lingua non è fatta solo di termini, ma anche di regole grammaticali e sintattiche. Ma aggiungere una “s” a un termine inglese per farne il plurale non ci rende più british, ma solo più ignoranti.

Ancora una volta la risposta alla domanda iniziale, in questo caso English or not?, è sì, ma attenzione. Sapere l’Inglese è cosa diversa da sfruttarne i termini solo per parlare di marketing e adv o per produrne i contenuti. Ma questa è ancora un’altra storia.

Categorie
Strategia Tendenze

I tuoi giorni migliori non sono in vendita

La nostalgia, lo abbiamo letto ovunque, è letteralmente “il dolore del ritorno”.  Non un dolore lacerante, ma quella piacevole sensazione che ti contorce lo stomaco quando un volto che non fa più parte della tua vita ti torna in mente di sorpresa. Ti incanti fissando il vuoto, ti culli in un ricordo.

Perché tutte le persone che non ci sono più, tutte le storie finite e tutte le cose che non possiamo più avere, le ricordiamo più belle, più rosee di come non fossero in realtà? A rispondere è la psicologia, si tratta di un errore cognitivo definito retrospettiva rosea.

Il marketing della nostalgia sfrutta proprio questo inganno della mente per colpire il consumatore proponendo una grafica vintage, reinventando prodotti già in commercio da decenni o addirittura riproponendo beni precedentemente ritirati dal mercato.

Il marketing della nostalgia è così efficace che sono gli stessi consumatori a farlo. Così dimostra la vicenda Winner Taco. Il gelato rivestito di cialda e cioccolato fece il suo debutto sul mercato italiano nel lontano 1998 e in realtà durò solo pochi anni. Dopo un silenzio di oltre 10 anni i suoi fan hanno iniziato una vera e propria campagna di protesta per ottenere il ritorno dell’Orso Bianco. A suon di troll e meme che hanno invaso le pagine di Algida e dei maggiori prodotti di punta del brand, i fedelissimi del Taco sono riusciti nel loro intento: nel 2014 il Winner Taco è tornato ad allietare le estati italiane, facendo felici i nostalgici che hanno da allora potuto rimpiangere altri oggetti di culto.

Tutte le grandi aziende sono cadute nella tentazione del marketing nostalgico. A partire da Coca-cola, che ha celebrato con una massiccia campagna comunicativa un secolo di storia della iconica bottiglietta in vetro, festeggiato il 16 novembre 2015. Lo ha fatto anche l’industria cinematografica tirando fuori dal cilindro il sequel di film che hanno segnato un’epoca come Trainspotting o It. Anche Fiat ha dato il suo contributo per riportare il mondo un passo indietro. Ha rispolverato prima la gloriosa Fiat 500 e recentemente la 124 Spider, un’icona di spensieratezza e aria tra i capelli. Sembra che tutto il mercato remi all’indietro.

La nostalgia, il ricordo delle cose passate – come suggerisce William Shakespeare – è l’unica àncora fissa a cui appigliarsi nell’epoca delle incertezze.

Il marketing della nostalgia non solo funziona, ma è anche redditizio. Ha un target preciso: gli odierni quarantenni. Persone che solitamente hanno un potere di acquisto superiore ai giovanissimi poiché godono di un impiego fisso trovato prima che la crisi esplodesse con tutta la sua forza. Non è solo una questione di disponibilità economica, ma di impostazione mentale. Chi è stato giovane negli 80s è per natura più propenso a spendere, che i soldi ci siano o no. Cosa non si fa per un pezzo di cuore. Per battere i figli a Super Mario Bros sul Nintendo 64.

Potete comprarvi un vinile degli Smiths, parlare al telefono con il 3310 e scattarvi una bella polaroid di gruppo. Quel che noterete però è che non sarà mai bello come allora. E poi vuoi mettere i selfie con l’IPhone?

Categorie
Strategia Tendenze

Come e perché attuare una campagna di marketing sms

Sappiamo già che la gestione di un business non si ferma alla fidelizzazione dei clienti già acquisiti ma spesso punta ad acquisirne altri. Eppure, in un contesto frenetico come quello attuale, è sempre più difficile ritagliarsi del tempo per ideare e sviluppare un’attività di marketing efficace. Inoltre, anche il pubblico a cui ci si rivolge rischia di essere troppo distratto perché le campagne di marketing abbiano davvero un senso.

In seguito a quanto ho appreso in un Webinar di 4DEM, nostro partner usuale nel direct marketing, vi spiego perché spesso è meglio basarsi su una campagna sms piuttosto che su una campagna email.

Gli sms rappresentano un canale privilegiato – più del 95% degli italiani possiede un cellulare, nella maggior parte dei casi uno smartphone. Il tasso di apertura di un sms è del 97% e la sua efficacia è massima, soprattutto se rapportato a un’email.

Quando una campagna non è troppo insistente, per di più, gli utenti sono ben disposti nei confronti di offerte e promozioni arrivate tramite sms, essendo immediati e, passatemi il termine, facili. Inoltre, il canale sms si presta a un’ampia varietà di prodotti e mercati fino a coprirne quasi la totalità.

Di seguito vediamo quando utilizzare una campagna marketing sms e come massimizzarne l’efficacia.

Come detto in precedenza, gli sms sono immediati. Essendo immediata anche la fruizione, è consigliabile, soprattutto nel caso di promozioni flash, avviare la campagna il giorno o la sera precedenti a quello della promozione stessa. Il tutto finalizzato a massimizzare l’interesse del cliente, grazie anche all’imminenza dell’offerta.

Altri casi in cui è consigliabile utilizzare una campagna sms sono la promozione di eventi – con qualche giorno di anticipo e un promemoria a poche ore dall’inizio – e la necessità di ricordare scadenze o appuntamenti.

Affinché una campagna sms sia davvero efficace è necessario essere chiari e concisi. Less is more, e non a caso: stiamo prediligendo l’immediatezza, quindi non possiamo farla scadere in un messaggio lungo e contorto.

Altra caratteristica fondamentale è la riconoscibilità: optare, quindi, per una campagna in cui gli sms abbiano un mittente definito – evitando di essere i classici “no-reply”.

Di vitale importanza, all’interno di una campagna sms, è poi la Call To Action, che non può e non dev’essere fraintendibile: un link che conduca al sito o a una landing page, e una richiesta chiara e accattivante per il potenziale cliente.

Non esiste, per concludere, un momento giusto o sbagliato per inviare una campagna sms. Tuttavia, è meglio affidarsi sempre al buon senso: niente campagne prima delle 9 del mattino, né oltre le 21.

Categorie
Strategia Tendenze

Com’è andato l’e-commerce nel 2017? Bene, ma non benissimo (in Italia)

Più le nostre vite si fanno frenetiche e imprevedibili, più il settore e-commerce cresce e supplisce alle limitazioni dei negozi fisici. A dispetto di supermercati e ipermercati aperti sempre e comunque, la comodità di ordinare con un click vince, consentendo di scegliere tra milioni di prodotti differenti.

Consultando diversi report sull’argomento, risulta che siano 1,6 miliardi gli utenti in tutto il mondo che hanno acquistato prodotti on line, per una spesa di quasi 2 trilioni di dollari. Impressionante, eh?

I mercati più vivi, neanche a dirlo, sono quelli che possono permettersi di spendere (tendenza che caratterizza anche la vita reale!): Cina e Stati Uniti innanzitutto e, per quanto riguarda l’Europa, in testa c’è la Germania.

In Italia, si sa, siamo restii ai cambiamenti, ma Amazon è entrato nel cuore di molti di noi.

Come per il resto del mondo, i settori trainanti sono turismo e tempo libero (Airbnb, TicketOne, etc.); mentre ad aumentare il proprio giro d’affari negli ultimi mesi sono i settori di salute, bellezza e alimentari. Quest’ultimo dato stupisce in un Paese come il nostro, dove il cibo non è solo nutrimento ma un vero e proprio piacere. Tradizionalmente, anche fare la spesa è un momento a cui dedicare tempo e dedizione, per scegliere i prodotti migliori per qualità e prezzo. Oggi cambia anche questa abitudine, lentamente. Pensiamo a chi non ha un’auto a disposizione, a chi è anziano o vive fuori città, lontano da tutto. Oggi le principali catene di supermercati offrono un servizio di delivery rapido ed efficace con consegne stabilite nell’orario preferito dal cliente. Comodo, eh? Niente più casse di acqua faticosamente trascinate dalla macchina a casa o su per le scale!

Per non parlare della fortuna di Just-eat e Foodora che, grazie ai loro fattorini su due ruote, riescono a fornire nelle grandi città un servizio che i clienti (da studenti a imprenditori) sembrano apprezzare parecchio (mentre insorgono i sindacati per le paghe da fame dei giovani fattorini).

E il B2B?

L’ambito del business to business ha certamente regole del gioco diverse e di conseguenza lo stesso vale per il relativo e-commerce.

Se in ambito B2C, “la vendita” è un processo che può essere rapidissimo e logisticamente più semplice, quando si vende alle aziende invece di solito si parla di grossi quantitativi e di acquisti che vanno curati con maggiore attenzione da parte del cliente/azienda.

Diventa fondamentale, quindi, inserire ad esempio l’opportunità di fornire un preventivo al possibile acquirente, in modo che l’azienda possa valutare se procedere all’acquisto.

Imprescindibile è anche un’ottima gestione delle transizioni di denaro, che spesso riguardano grosse cifre, e la cui gestione deve rimandare un’idea (e una sostanza) di sicurezza e tutela dei dati, oltre a offrire l’opportunità di rateizzare l’intero l’importo.

Anche la natura del rapporto tra venditore e acquirente dev’essere gestita diversamente in ambito B2B. A differenza del B2C, infatti, i clienti sono di solito abituali, quindi diventa necessario curare particolarmente il customer service e la user experience, che dev’essere personalizzata e impeccabile. L’azienda acquirente deve sentire che dietro al “sistema e-commerce” ci sono persone fisiche che conoscono le loro esigenze e il loro business.

Ah, a proposito. L’altro giorno ero in una famosissima catena di elettronica di livello mondiale e dovevo comprare un Hard Disk da 1Tb per fare il backup di tutti i contenuti del mio pc di casa e ovviamente date le feste “il prodotto non era disponibile”. Mentre uscivo dal negozio abbastanza contrariato, sono entrato su Amazon e ho trovato lo stesso prodotto a 5 euro in meno e il giorno dopo me l’hanno portato direttamente a casa.

Bisogna dirlo: l’e-commerce se fatto bene è tutta un’altra cosa!

Categorie
Social Tendenze

Zuckerberg cambia algoritmo e le aziende tremano

Facebook privilegerà gli amici alle pagine e sarà la rivincita del marketing emozionale.

Lo ha annunciato proprio Mark Zuckerberg sul suo profilo FB: l’algoritmo del social network più famoso e diffuso al mondo sta per cambiare.

Come?
I social media manager di tutto il mondo già tremano. Pare infatti che il fondatore di Facebook auspichi un “ritorno al passato”, un passato recente, si intende. Quello in cui si usava il social solo per l’interazione tra utenti e non per la condivisione di contenuti pubblicitari o di informazione.

Quando Facebook è sbarcato in Italia, cioè circa una quindicina di anni fa, le persone non conoscevano ancora le potenzialità dello strumento. Lo si utilizzava per mantenere i contatti con amici conosciuti in vacanza o parenti lontani, per sentirli vicini. Ora la sua natura è molto diversa, così come la sua potenza, la sua capacità di veicolare informazioni, giuste o scorrette che siano, e di raccogliere informazioni sugli utenti.

Una nobile intenzione?
Sembra che il papà di Facebook voglia restituire alla sua creatura quelle nobili intenzioni che negli anni ha smarrito, almeno in parte.

Quindi il nuovo algoritmo favorirà i post degli amici piuttosto che delle pagine. Meno news e contenuti di marketing a favore di foto private, contenuti intimi e personali.

Ma attenzione. Ci sarà ancora spazio per le pagine, purché godano di una buona interazione con il pubblico. Uno degli obiettivi del rinnovamento, infatti, è ottenere un social network sempre più attivo e frenare la fruizione passiva dei contenuti delle pagine, sponsorizzati o meno.

Chi sopravviverà quindi a questa ecatombe?
Difficile dirlo. Sicuramente chi ha puntato sul consolidamento del rapporto con gli utenti e di una connessione empatica è un passo avanti agli altri. Al contrario, chi si è limitato a sponsorizzare post spiccatamente commerciali o a usare la propria pagina come si usa la vetrina di un negozio, avrà molte difficoltà a cambiare rotta velocemente. Coloro che sembrano trarre vantaggio da questo cambio di rotta sono le personalità che sfruttano la propria riconoscibilità per fare business. Penso a tutti quei lavoratori che vendono se stessi come liberi professionisti e hanno un buon seguito sui social network, sfruttando proprio il profilo personale. I cosiddetti influencer che hanno centinaia di like e condivisioni saranno privilegiati dal nuovo algoritmo, poiché non immediatamente bollati come “brand”.

In realtà la logica premiante per le interazione varrà anche per le stesse pagine aziendali. Per questo sarà il momento di raccogliere ciò che si è seminato con il marketing emozionale e la filosofia “Ceres”, per intenderci.

Si tratterà di un’epica rivincita su chi bollava come inutili le campagne social non finalizzate direttamente alla vendita, ma piuttosto alla creazione di una community, di un legame con l’utente e possibile cliente. Una logica che adesso probabilmente darà i suoi frutti.

Questa innovazione, quindi, potrebbe rendere quasi tutti contenti:

  • gli utenti, che vedranno sul proprio newsfeed solo post a cui sono davvero interessati o che reputano coinvolgenti in qualche modo;
  • le aziende e le agenzie di comunicazione, che da tempo hanno capito che Facebook non è un canale di vendita diretto ma un luogo dove acquisire la credibilità e la simpatia di chi è o potrebbe diventare cliente, scegliendo te su un competitor al momento dell’acquisto.

Unici scontenti? I fanatici del marketing duro e crudo, generico e senza stile o profilazione. Chi non ha ancora capito che mostrare la merce non basta più: questa è l’epoca dello storytelling aziendale.

Voi lo avevate già capito?

Categorie
Contenuti Social Strategia Tendenze

Come utilizzare i social per trovare Lead

Si definiscono “lead” i potenziali clienti che mostrano un certo interesse nei confronti del brand, dei prodotti o dei servizi di un’azienda.

Si tratta di contatti che, ad esempio, si sono iscritti alla newsletter, hanno scaricato un contenuto o hanno contattato telefonicamente o per email l’azienda in questione.

Uno dei principali vantaggi di utilizzare i social media per generare lead è la possibilità di concentrarsi su profili altamente qualificati, grazie al targeting avanzato: i social media permettono, infatti, di entrare in contatto con un pubblico molto vasto e con una miriade di informazioni volontariamente condivise.

Allo stesso tempo, uno degli errori più facili da commettere è cercare i contatti sul social network sbagliato: una lead generation ideale necessita, prima di tutto, di conoscere il proprio target, le sue abitudini e le sue esigenze.

Vista la maggioranza di utenti è facile pensare che Facebook possa essere la scelta migliore, ma non è sempre vero: circa la metà delle aziende che operano in ambito B2B, infatti, genera nuovi lead attraverso Linkedin, meno del 40% usa Facebook e appena il 30% Twitter.

Un altro aspetto fondamentale è il tipo di lead che si vuole ottenere, perché è in funzione di questa scelta che si studia la strategia, che solitamente prevede due fasi: creazione di contenuti in grado di intrattenere e interessare gli utenti e condivisione degli stessi su altre piattaforme (altri social network, blog, siti web).

Quando si parla di Lead è importante comprendere che non si tratta di un guadagno facile né tanto meno immediato. Il percorso che porta i Lead a essere Clienti richiede un investimento di tempo definito “nurturing”, cioè nutrimento. I Lead sono le sementi che piantiamo in quantità; sappiamo che dobbiamo prenderci cura di ogni seme, innaffiandolo regolarmente e concimando il terreno con la consapevolezza che solo alcuni daranno vita a una pianta.

Ma come si nutrono i lead?

Con contenuti validi e interessanti.

Può sembrare una perdita di tempo o un investimento sproporzionato ma, studiando bene il target di riferimento, la Lead generation può creare un bacino di utenti/clienti più che solido, che contribuirà direttamente al benessere aziendale o aiuterà ad ampliare ulteriormente reputation e contatti attraverso il passaparola digitale.

Feed your lead!

Per concludere, vi lascio con una domanda che mi sono posto spesso, di recente: “Di che colore è il vostro Brand?”

Un colore è identificativo e la risposta a questa domanda non è mai definitiva al 100%. Provate a rifletterci, individuate l’essenza del vostro brand, datele un colore. Sceglietelo d’impulso e accostatelo alla vostra filosofia, al vostro metodo, al vostro rapporto con il brand.

Vi verrà spontaneo, a un certo punto, chiedere di più.

Il colore scelto d’istinto non è definito, ha in sé milioni di sfumature. Ed è solo con uno studio approfondito che si scova la gradazione capace di rispecchiare al 100% la vostra Brand Essence.

Se il vostro istinto vi porta verso un giallo, per intenderci, in un secondo momento vi verrà da chiedervi se quel giallo sia giallo ambra, crema o giallo limone. È questo il percorso che vi invitiamo a fare, con noi al vostro fianco. Saremo in grado di guidarvi, mostrarvi ogni possibile gradazione, lasciando comunque che siate voi a trovare la vostra.

Categorie
Contenuti Social Strategia Tendenze

Essere o non essere? No, il problema è l’essence

Il brand è ciò che il cliente percepisce, un insieme di sensazioni e di emozioni che rappresentano la reputazione dell’impresa. Per definizione, prende posizione su uno specifico modo di essere e di pensare, acquista caratteristiche quasi umane – e infatti parliamo di anima, essenza – e, come gli umani, ha la possibilità di evolvere nel tempo.

Il brand necessita di un nome giusto, un nome che coinvolga il pubblico, facile da pronunciare e che tenga fede al mercato di riferimento, e di un logo che non sia banalmente descrittivo ma abbia in sé una capacità evocativa non indifferente.

Per ottenere il massimo dell’efficacia, la brand essence dev’essere:

  • Unica: deve evidenziare ciò che rende il prodotto offerto dall’azienda diverso dai competitor
  • Intangibile: il brand deve suscitare emozioni, qualcosa che non possa essere toccato con mano ma in grado di colpire
  • Ben definita: una o massimo due/tre parole devono bastare per esprimere il core dell’azienda, un messaggio semplice e facile da ricordare che si imprima nella memoria
  • Esperienziale: cattura le emozioni che il cliente prova con l’esperienza del prodotto, e le riporta
  • Significativa: deve avere importanza per il target di riferimento dell’azienda
  • Ripetitiva: la brand essence deve realizzarsi ogni volta che il cliente interagisce con il brand
  • Durevole: non deve mai cambiare nel tempo ma rispettare il patto fatto con i propri clienti
  • Autentica: deve rappresentare onestamente il brand per essere accettato dai consumatori
  • Adattabile: dev’essere in grado di resistere nonostante la possibile crescita del business.

Individuare l’essenza del proprio brand è indispensabile per qualunque impresa e rappresenta il primo passo verso il mondo del marketing: la brand essence rappresenta, infatti, il più grande punto di forza di un’impresa, ciò attorno al quale ruoterà il suo mercato.

Solo dopo aver definito la propria brand essence si può parlare di strategia di marketing o di piano d’azione, di target e di commercio vero e proprio.

Un esempio di come una brand essence ben definita sia un assoluto vantaggio, è certamente quello di Ceres. Ha da qualche anno messo in atto una strategia di real time marketing possibile solo grazie a un’essenza inossidabile e delineata. Ceres è decisa, ironica e dissacrante e così lo è la sua comunicazione.

Solo un brand che conosce alla perfezione il suo target può permettersi di essere irriverente come Ceres senza rischiare di perdere consenso.

Se il brand fosse un albero, la sua essenza sarebbe la linfa, l’attributo più importante che lo distingue dalla concorrenza, la costante tra tutte le categorie di prodotto del brand.

A proposito, da qualche settimana ci gira in testa una domanda:

“Di che colore è la vostra azienda?”.

Rifletteteci e datevi una risposta prima di pancia e poi di testa. Se la risposta non è significativa, sentiamoci, potrebbe essere interessante scoprire come mai il “giallo della pancia” non corrisponde al “blu della testa”.

Categorie
Contenuti Social Strategia Tendenze Web

La comunicazione 121 su larga scala

Il marketing one to one, la comunicazione 121 di cui si parla tanto oggi, non è altro che l’ennesimo ritorno al passato. Quella nostalgica voglia di vintage che sta invadendo ogni ambito. Un tempo ogni cliente era unico, speciale e prezioso. Quando si ragionava sulle persone piuttosto che sugli utenti, navigatori, user. Prima dell’avvento dell’e-commerce e diciamo anche prima della GDO.

Ora il marketing vuole tornare a parlare con te, vuole conoscere la tua storia e porre in evidenza la tua individualità. Sfida ambiziosa ai tempi del web.

In realtà la Rete, a differenza di mezzi come la televisione e i giornali, fornisce un’infinità di informazioni sui potenziali clienti. Basta saperle sfruttare.

L’obiettivo di questo tipo di marketing non è tanto attrarre nuovi clienti, quanto conoscere così bene quelli attuali da rispondere alle loro esigenze e fidelizzarli. Insomma, se quella tra massive market e clienti è la scappatella di una notte, quella che cerca di costruire il marketing 121 è una vera storia d’amore.

Il marketing one to one originariamente si compone di 4 fasi che rispondono ad altrettante domande:

  1. Chi sono i miei clienti?
  2. Come si distinguono gli uni dagli altri?
  3. Come posso entrare in contatto diretto con loro?
  4. Cosa posso offrire di perfetto per uno piuttosto che per l’altro cliente?

Attraverso il sito web aziendale si interagisce con l’utente. Dalla richiesta di informazioni su un prodotto, agli ordini, all’assistenza tecnica: tutte queste informazioni devono essere a disposizione di chi gestisce il marketing. Insieme a questi dati e alle tracce lasciate dall’utente nel web al suo passaggio. Una volta individuati i differenti cluster, cioè gruppi di clienti simili, si procede con il contatto diretto che può avvenire:

  • tramite e-mail (DEM), prediligendo gli utenti che hanno acconsentito all’invio di comunicazioni commerciali;
  • tramite comunicazioni istantanee dal proprio sito aziendale attraverso l’apertura di pop-up e finestre di dialogo. O sfruttando Telegram e la messaggistica di FB per essere sicuri di intercettare l’attenzione del cliente.

Un eccellente esempio di marketing one to one è la campagna condotta da Ferrero, “Nutella sei tu”. Nulla funziona più del nostro nome di battesimo per chiamarci in causa e farci sentire al centro dell’attenzione. Attraverso la pagina FB di Nutella è possibile richiedere l’etichetta personalizzata e farla recapitare direttamente a casa. Scelta azzeccata e sostenuta da una massiccia campagna promozionale televisiva.

Quando si parla di marketing online sembra impossibile rivolgersi all’Uno, lavorando ovviamente su numeri di clienti enormi. Quello che si deve fare è puntare a coinvolgere l’ambito emozionale e scovare tutti quegli aspetti che fanno sentire il cliente un unicum. Come se a chiamarti Marco, Giovanni, Luca, fossi solo tu che leggi e nessun altro al mondo.

Categorie
Social Strategia Tendenze

Mercati esteri e Social Media

Mi piacerebbe condividere con voi una riflessione sulla connessione tra l’internazionalizzazione e i social media.

Un’azienda che ha come obiettivo il mercato mondiale non può astenersi dall’approfondire lo studio di una strategia di comunicazione legata all’utilizzo dei social media nelle varie nazioni di riferimento.

Con il termine internazionalizzazione si intende il processo attraverso il quale le aziende instaurano diverse relazioni nei paesi interessati. Diventa fondamentale perciò seguire l’andamento dei social per poter definire la strategia più adeguata alle nostre esigenze.

social media sono diventati strumenti attraverso i quali è possibile individuare ciò che un determinato target richiede a un prodotto. Possono supportare le imprese nelle fasi di inserimento nei diversi mercati, dato che alla base del loro funzionamento vi è la relazione, che ne diventa l’elemento chiave.

L’utilizzo dei social permette di accrescere la brand awareness, cioè la percezione del marchio, riducendo le incertezze e i rischi dell’ingresso nei mercati internazionali.

È necessario che le aziende investano in questi mezzi consapevoli delle effettive opportunità che offrono.

Investire nei social media significa puntare alla creazione di network internazionali creando una strategia di comunicazione attenta sia alle conversazioni sul web sia all’analisi delle ricerche attraverso i motori di ricerca, per intuire ciò che i potenziali clienti vorrebbero. Lo studio dettagliato di questi dati permette di raggiungere i target e i Paesi in cui vogliamo spingere i nostri prodotti.

Affidarsi a dei professionisti sarà fondamentale, poiché vi aiuteranno a definire gli strumenti più utili alle vostre strategie di business.

Categorie
Tendenze Web

Perché rivolgersi a dei professionisti per realizzare il proprio sito web

Un sito web è una vera e propria vetrina di presentazione per i propri prodotti e servizi.

Sia per le piccole attività che per le grandi aziende è quindi fondamentale curare questo strumento in modo adeguato, considerando anche che spesso il primo contatto con un un cliente è digitale e il sito web può determinare l’opinione su un’azienda o un professionista. In un mondo dominato dall’immagine, la scelta di acquistare un prodotto o avvalersi di un servizio sarà largamente dettata da questa opinione iniziale.

Esistono molte piattaforme online dove è possibile creare siti web con un bassissimo investimento, ma rivolgersi a dei professionisti presenta numerosi vantaggi.

Decidere di essere presente online significa esporre il proprio marchio o la propria professionalità al mondo del marketing e della comunicazione sul web, che segue regole precise. La facilità con cui gli utenti si scambiano pareri su prodotti e servizi, ad esempio, può favorire il proprio business oppure pregiudicarlo in modo importante.

Dotarsi quindi di un sito web costruito secondo determinati criteri e pensato per rispondere alle specifiche esigenze dell’azienda o del professionista significa avere a disposizione un potente strumento con il quale raggiungere la propria clientela.

Come ho detto, la realizzazione di siti web di scarsa qualità non è la scelta migliore. Può darsi che inizialmente si preferisca risparmiare o non si senta il bisogno di avere un sito web molto strutturato, ma così si rischia di incorrere in situazioni complesse e spiacevoli. Un sito web dev’essere funzionale e permettere un facile accesso ai contenuti da parte degli utenti; si tratta quindi di dotarlo di specifici requisiti da scegliere in base al tipo di attività da promuovere. Una di queste caratteristiche può essere che il sito sia responsive e che quindi le dimensioni del layout di pagina si adattino alle dimensioni dello schermo del device usato dagli utenti.

Inoltre, in un mondo sempre più visuale, è necessario che il sito web presenti la giusta dose di creatività, in modo da essere immediatamente riconoscibile e attirare l’attenzione dei potenziali clienti.

La scelta del tipo di sito da realizzare dev’essere sempre preceduta da un’attenta analisi delle esigenze di comunicazione e di vendita dell’attività che lo richiede. Per alcuni tipi di business, decidere di vendere direttamente i propri prodotti online attraverso un e-commerce può davvero essere la scelta vincente, mentre per altri la scelta migliore è dotarsi di un sito web che preveda un blog con cui diffondere notizie di settore al target di riferimento, fermo restando che il concetto di sito vetrina è sempre valido quando si vuole solo avere una presenza digitale di rappresentanza.

Qualunque sia il proprio tipo di business, rivolgersi a dei professionisti per realizzare un sito web è la scelta migliore. Dopo un’analisi attenta, infatti, si avranno a propria disposizione competenze tecniche e creative per ottenere il sito migliore per la propria attività. Il rischio, altrimenti, è di intaccare la propria immagine professionale o aziendale, mancando completamente gli obiettivi che ci si era prefissati.

Che sia un semplice sito vetrina, una presentazione digitale, un blog dove far valere la tua competenza e la tua reputazione, un e-commerce con cui creare un nuovo mercato per i tuoi prodotti, la strada è sempre una sola: fare un sito di qualità, che non sia percepito come un fondo di magazzino o un negozio in disuso.

Entreresti in un negozio o in un capannone in disuso? Faresti affari con un fornitore che ha una sede in avanzato stato di degrado?