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Il sito brochure e il sito vetrina

Cinque domande da farsi per non sprecare soldi nel sito

In questi mesi abbiamo studiato numerosi siti internet di aziende piccole, medie e anche grandi che operano in tutte le tipologie di settori. Abbiamo guardato aziende di servizi, aziende di prodotto, aziende di settori alla moda e aziende che producevano beni assolutamente poco affascinanti e “notiziabili”.

Tutte le aziende che abbiamo analizzato hanno tutte una cosa simile: business assolutamente consolidati e fatturati molto elevati (le abbiamo selezionate anche guardando questi aspetti negli ultimi anni).

C’è qualcosa di sorprendente che accomuna la maggior parte di queste aziende: hanno una presenza digitale poco valida. Drammaticamente scarsa in molti casi.

Non sto dicendo che i loro siano dei siti brutti o poco funzionali. Sì, molti siti spesso non sono in linea con gli standard di Google. Una percentuale elevata è costituita da siti oggettivamente poco fruibili e spesso questi hanno delle grafiche veramente antiquate e poco piacevoli.

Quello che però ci ha veramente stupiti è un aspetto meno tecnico e meno estetico, ma abbastanza incredibile:

i siti che abbiamo studiato non servono allo sviluppo del business

Al di là della grafica, del sistema di gestione dei contenuti, della realizzazione dei contenuti stessi, delle immagini e dei testi da utilizzare ogni volta che si crea un sito per un’azienda o per un professionista bisognerebbe rispondere a questi fondamentali cinque set di domande:

1) Il tuo sito crea specifici risultati di business? I risultati sono misurabili? Hai un sistema per collegare lo sviluppo del business al tuo sito?

2) Il tuo sito è realizzato come se fosse il più avanzato ed efficiente strumento di vendita dei tuoi servizi e dei tuoi prodotti? Da ogni parte del tuo sito è chiaro e facile raggiungere la sezione di sviluppo del tuo business?

3) Il tuo sito riesce a creare un flusso consistente di nuove conversioni per il tuo business (lead, registrazioni, vendite)? Il tuo commerciale è in grado di interagire con il tuo sito per poter interagire a sua volta con il tuo business?

4) I contenuti e le risorse che pubblichi nel tuo sito sono utili e significativi per il tuo target e il tuo potenziale acquirente?

5) Hai realizzato un piano di marketing digitale finalizzato alla realizzazione di un processo di vendita adeguato all’incremento del tuo business?

Spesso quando si fa un sito si pensa a realizzare una brochure online senza però ricordarsi che la brochure viene spiegata e consegnata da un commerciale.

Se una brochure di 16 pagine viene presentata in una visita di 30 minuti o una presentazione aziendale viene seguita o anticipata da una telefonata di vendita di decine di minuti, perché le aziende decidono di non investire nel commerciale nel mondo del web?

Essere digitali non significa essere in grado di sopperire alle competenze di altri. Il vostro cliente non può prendersi la responsabilità di fare il commerciale a se stesso.

Il ruolo fondamentale di spiegazione dei perché comprare, di cosa comprare, di come comprare, di quando e dove comprare non possono essere demandati al cliente stesso.

Se si realizza un sito-brochure si deve realizzare anche un sito-venditore.
Se si crea un sito-vetrina ci si deve dotare anche di un sito-commessa.

Un sito che spieghi nei dettagli cosa l’azienda vende, racconti nel dettaglio i vantaggi dei prodotti/servizi offerti, informi sulle modalità di vendita ma soprattutto provi a convincere il cliente che il prodotto/servizio offerto è in grado di risolvere il suo problema.

Una brochure senza venditori, un negozio senza commessi, un sito senza area commerciale … ecco cos’è un sito non funzionale: un’occasione mancata di realizzare nuovo business per l’azienda.

 

Credits photo: Pexles, Flickr

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Perché curare i propri contenuti web e social oggi è più importante che mai

Chiunque sia stato in un museo conosce bene la differenza tra una visita guidata e una visita “libera”. All’inizio sembra più affascinante l’idea di muoverci a nostro piacimento per tutte le stanze della collezione e liquidare velocemente quello che non ci colpisce al primo sguardo. In realtà a fine percorso spesso ci rendiamo conto di non aver imparato nulla e magari di esserci annoiati.

Lo stesso accade nel marasma dei contenuti web: avere una guida è utile. Conoscendo a menadito tutto il museo, la guida ci indica il percorso su misura per noi a seconda delle nostre curiosità. Sa raccontarci simpatici aneddoti sui pezzi della collezione e tener vivo il nostro interesse. Se è una buona guida, si intende.

Lo stesso vale per la cura dei contenuti. È fondamentale avere qualcuno che organizzi i contenuti per gli utenti. Un content editor è necessario perché l’esperienza dell’utente non sia mai noiosa ma arricchente.

Per vendere c’è il marketing e il content editing è il fertilizzante del terreno su cui il marketing pianterà i suoi semi.

Curare i propri contenuti significa:

  1. avere un piano editoriale ben definito: i lettori devono sapere cosa aspettarsi. Il blog e i canali social vanno aggiornati con cadenza periodica per creare dipendenza, se saprete fare un buon lavoro;
  2. il marketing non è mai stato solo promozione. I contenuti devono essere vari perché l’utente resti sulla tua pagina il più a lungo possibile;
  3. oggi più che mai, però, occorre creare un’identità di brand che stimoli la reazione dell’utente. Bisogna avere il coraggio di esprimere la visione del brand, limitandosi agli argomenti che riguardano il proprio ambito. Sfruttate a vostro favore le opinioni degli influencer per avvalorare le vostre posizioni;
  4. curare i propri contenuti non è un servizio dedicato solo a chi vi segue già. Usate tag e riferimenti a terzi che possano destare interesse e voglia di condividere ciò che pubblicate. Così cresce una comunità: dialogando;
  5. segui e ti seguiranno. Non è la Bibbia a dirlo, ma l’esperienza. Il miglior modo per ottenere un Like è metterlo a tua volta. Identifica gli influencer che fanno al caso tuo, quelli più in linea con la filosofia aziendale e seguili, interagisci. Potrebbe essere l’inizio di una fruttuosa collaborazione.

Curare i propri contenuti digitali oggi è fondamentale. Se riuscite a farlo in modo interessante per chi vi segue, avrete guadagnato prima la loro attenzione e poi la loro fiducia, creando un audience che rispecchia l’azienda, cioè il miglior bacino in cui fidelizzare i clienti e trovarne di nuovi.

E non dimenticatevi che i vostri follower sono i vostri fan. A loro potete proporre idee nuove e promozioni avendo un feedback prima di lanciarle sul mercato.

A proposito, sapete già di che colore è la vostra azienda?

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Netflix creepy? Potrebbe andare peggio, potrebbe twittare Pornhub!

Netflix ha tirato le somme dell’anno appena passato… e lo ha fatto a suo modo. Il team comunicazione dell’azienda californiana si è sempre distinto per la sua brillantezza e simpatia, ma questa volta ha aggiunto anche un pizzico di sarcasmo saccente al mix di ingredienti.

In un tweet dall’account Netflix US, l’azienda ha ironizzato sulle 53 persone che hanno guardato “A Christmas Prince” ogni giorno negli ultimi 18 giorni. “Who hurt you?” chiede Netflix agli spettatori compulsivi del film natalizio. E il pubblico in parte si indegna, in parte risponde di battuta in battuta.

Perché l’indignazione?

Come se non fosse ovvio che Netflix collezioni informazioni sugli utenti. È proprio il meccanismo di base che consente alla piattaforma di streaming di proporre una libreria ad hoc per ogni utente, basata sui suoi gusti, su ciò che ha già visto e che Netflix ovviamente conosce.

Di fatto moltissime aziende utilizzano big data e analytics per le loro campagne di marketing, o per migliorare i servizi. Solo che noi non ne siamo coscienti – e dovremmo, perché le privacy policy sono (quasi) sempre chiaramente espresse dalle aziende – eppure non ce ne rendiamo conto e ci stupiamo. Netflix ha usato i dati non solo per personalizzare il servizio di streaming ma, in questo caso, anche per il social media marketing. Possiamo dire che sia stata più trasparente di altre compagnie, al massimo, ma non meno rispettosa della privacy. Non ha fatto alcun nome o rivelato alcuna informazione sensibile che fosse riconducibile a qualcuno di specifico. In compenso è riuscita a chiamare in ballo i propri utenti in maniera ironica e forse un po’ provocatoria, cosa che non tutti hanno apprezzato, definendo Netflix addirittura creepy. Che sia stata ortodossa o meno, la gestione dell’account twitter di Netflix ha certamente creato un piccolo caso mediatico intorno alla vicenda e, trattandosi di marketing, si può dire che l’esperimento sia riuscito, dunque.

Anche un altro brand di successo ragiona con meccanismi simili ed è Spotify, che ha da poco avviato una campagna ads proprio basata su dati raccolti riguardo ai gusti musicali dei propri utenti.

Il concetto è molto simile a quello sfruttato da Netflix, eppure nessuno ha alzato la voce contro la piattaforma musicale più famosa del mondo. Perché ce la siamo presa tanto con Netflix? Perché ha messo in ridicolo lo spirito natalizio? Perché ci siamo sentiti chiamati in causa come se ci avessero preso in giro per le decine di volte che abbiamo visto “Mamma ho perso l’aereo”? O forse per pigrizia: è più facile replicare a un tweet che a un cartellone.

Alla fine l’utente più illuminato di tutta questa polemica è PitchforksAtTheGate, che risponde così: “Could be worse. @Porhub could be tweeting…”