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Gruppo E: un buon esempio di immagine coordinata efficace e di impatto

Abbiamo di recente terminato un lavoro lungo e affascinante di cui vorremmo parlarvi perché ci rende particolarmente orgogliosi. Il cliente è il Gruppo E e le 4 aziende che ne sono parte. Il nostro compito è stato quello di ripensare in alcuni casi o inventare ex-novo, la grafica e la comunicazione di questi brand e costruirne l’immagine coordinata. Abbiamo dovuto quindi fare leva sulle nostre competenze di web agency, content curation e di strategia di marketing.

Non è facile stravolgere l’immagine di un’azienda, figuriamoci di 4!

La sfida infatti era far sì che di ogni azienda si intuisse la peculiarità, ma che al tempo stesso ci fosse una coerenza grafica e comunicativa di base. Parlando con i rappresentanti delle diverse anime che componevano il gruppo, ci siamo fatti un’idea di quello che poteva incontrare maggiormente il gusto dei nostri clienti. Abbiamo scelto di usare il mondo del Sci-fi come filo comune, partendo da uno dei brand con cui già collaboravamo: MediaSecure.

4 personaggi per 4 azienda. Ogni personaggio incarna le peculiarità delle aziende:

Confrontato con gli altri personaggi, Ergon è il guardiano con le dimensioni più importanti. Anche considerato individualmente, il suo aspetto trasmette forza e autorità.

Le venature che attraversano l’armatura hanno una tonalità particolarmente accesa, un azzurro al neon che recupera l’attuale colore del logo ma lo proietta in un’ambientazione  sci-fi fortemente digitalizzata. L’obiettivo era realizzare un avatar che incarnasse il mondo hi-tech, coerente con la mission del brand ma anche in grado di adeguare l’immagine aziendale alla modernità dei giorni nostri.

L’armatura richiama volutamente quella degli altri guerrieri del gruppo, ma il personaggio scelto per identificare Estrobit presenta peculiarità tutte sue: egli, infatti, è un mago in grado di generare codice con le proprie mani. Un potere che riflette la mission aziendale – la realizzazione di software – proiettando immediatamente il potenziale acquirente in una dimensione hi-tech in cui è possibile, come per magia, dare origine a nuovi programmi. Il colore rosso accende il colore attuale del logo con un neon che restituisce un immaginario digitalizzato e moderno.

MediaSecure si occupa di Sicurezza Informatica e il suo personaggio è proprio una sentinella, un guardiano che vigila sul perimetro della tua azienda e mira a debellare le minacce che popolano la rete. Il personaggio è un avatar che può dare un volto ai prodotti MediaSecure e un potenziale protagonista dell’advertising aziendale. Diventa così possibile creare una comunicazione molto accattivante, basata su un immaginario moderno, assimilabile a videogame e comics, rendendo l’aspetto dei prodotti più friendly e al passo coi tempi.

Il branding di Neboola deriva direttamente dai servizi cloud-based offerti dalla società. Abbiamo giocato sul concetto di “cloud” – “nuvola”, ideando un personaggio che avesse come peculiarità il volo. Le sembianze femminili richiamano il nome del brand e il colore viola conferisce all’immagine aziendale un aspetto particolarmente originale. Inoltre, accostando le diverse identità del Gruppo, questo colore si differenzia da tutti gli altri.

Partendo dai personaggi e da una narrazione che si sviluppa intorno ad essi abbiamo realizzato i 5 siti web (sviluppo di un sito internet per ogni brand e uno dedicato al gruppo), mettendo al centro i servizi caratteristici di ogni brand e dando grande rilievo alla parte grafica personalizzata che valorizza ogni portale. Particolare attenzione è stata data anche ai contenuti testuali che pur trattando materie molto tecniche, cercano di rimanere comprensibili a tutti i possibili visitatori del sito, anche ai meno esperti in materia IT. Una sfida di web development e di copywriting assolutamente interessante.

Abbiamo poi sviluppato in toto l’immagine coordinata attraverso il la grafica e il design di tutta l’immagine coordinata, i nuovi biglietti da visita, la nuova carta intestata e le nuove grafiche necessarie alle attività quotidiane dell’azienda (grafiche PPT, roll-up. brochure, etc).

In questo modo non abbiamo tralasciato alcun dettaglio e abbiamo offerto al cliente un nuovo pack grafico completo che fosse di grande impatto per i clienti attuali e futuri del gruppo E.

Insomma una forte attività di web agency, collegata a content curation e tanta strategia di marketing. La sfida del Gruppo E non è ancora terminata, da ora in poi qualsiasi gadget aziendale dovrà essere perfettamente coerente con lo stile finora sviluppato e soprattutto dovrà continuare a stupire come ha fatto fino ad ora, non sarà facile, ma i nostri guerrieri ci daranno una mano!

La mention di ieri sui social ufficiali del cliente sulla chiusura della prima parte della attività di rebranding ci ha ovviamente fatto 4 volte felici!

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IGTV: lo smartphone è pronto a sfidare il 50 pollici di casa

Le persone. dicevamo, passano molte ore al giorno su Instagram. E la community conta quasi più del canale su cui si crea, una volta che si è solidificata. Per questo per Instagram è in un momento d’oro e ne approfitta. Non a caso l’app ha deciso di scendere ora in campo con una grossa novità: l’IGTV, la tv di Instagram. Da oggi, anzi da ieri, è possibile condividere video lunghi fino a 60 minuti, (beh 10 minuti per i comuni mortali, 60 per chi fa views da capogiro) rigorosamente in VERTICALE! Solo qualche anno fa una cosa del genere era impensabile, la tv era rigorosamente orizzontale, wide screen, apprezzata su televisori tanto più grandi quanto più appaganti. Vade retro a parlare di video verticali, sintomo di incapacità e dilettantismo. Ma oggi le cose sono cambiate, anche i più snob hanno dovuto adattarsi per non venir tagliati fuori.

Chi ha più tempo, d’altronde, per restare a casa a guardare la tivù? Escludendo le fasce di età più avanzate, sono rimasti davvero in pochi i giovani a concedersi questo lusso. Meglio lo smartphone per i tempi morti, per guardare video pigramente sdraiati o seduti ovunque.

La tv di Instagram promette bene, perché nasce cavalcando il boom del social. E alcune aziende hanno già deciso di buttarsi e sperimentare, ma non chiamiamola “pubblicità”. Ormai è un concetto trito e ritrito che il messaggio promozionale fino a se stesso va morendo, o meglio, che deve arrivare alla fine di una lunga trafila disinteressata di content ad hoc, di contenuti utili e di intrattenimento a solo beneficio di chi ne usufruisce senza per forza mirare a un riscontro diretto. E per chi pensa che sia una perdita di tempo, vi accorgerete presto che sarete gli ultimi rimasti a non portare in dote nulla ai vostri possibili clienti. Sarete gli ospiti che si presentano a cena senza vino, state certi che ci penseranno due volti a invitarvi nuovamente!

Insomma l’IGTV è una possibilità, non tutti possono coglierla. Fare i video è time-consuming, servono risorse, anche per prodotti di bassa qualità tecnica. Servirà, inoltre, almeno una buona idea alla base? Quindi tempo ed esperienza, un piano editoriale alle spalle, persone sul pezzo per seguire il progetto. Non è una passeggiata. Per ora IGTV struttura principalmente in base alle nostre attuali connessioni, si tratta d’altronde di una fase embrionale della piattaforma che NON prevede la possibilità di inserire pubblicità e quindi guadagnare con i video.

Ma cosa ci dà in cambio? A parte la suddetta reputation, ci offre una cosa preziosissima in area marketing: i dati. Informazioni dettagliate su chi ci guarda, da dove, a cosa è maggiormente interessato. Questo è l’aspetto più interessante in effetti se si vuole provare a stringere qualcosa con le fantomatiche views, avendo così un ampio campione su cui studiare strategie di marketing ad hoc da distribuire con mezzi differenti.

Ikea, Nike e altri grossi brand sono già scesi in pista per la nuova sfida IGTV anche se non sembra che sviluppino contenuti nativi per la piattaforma, ma piuttosto si limitano a riadattare al canale prodotti comunicativi giù spesi altrove. Ma state in guardia, IGTV non sfida solo YouTube, mette in pericolo la vecchia e apparentemente immortale televisione, in un momento di forte crisi del piccolo schermo, e state sicuri che se si arriverà alla battaglia, sarà una lotta all’ultimo spettatore.

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Favij denuncia: YouTube sta morendo!

Per chi ha più di 20 anni il mondo di YouTube nasconde un sommerso che voi manco vi immaginate. E quindi manco io, in effetti. Incuriosito dal video da cui ho preso il titolo del celebre Favij, vlogger amatissimo dai teenager, mi sono addentrato in un mondo finora solo parzialmente conosciuto.
Per me Youtube è stato a lungo quel posto dove era facile caricare i video per poi postarli su altre piattaforme o condividerli direttamente su Youtube, insomma ne apprezzavo più che altro l’aspetto tecnico. A un certo punto è diventato anche molto utile per guardare i video musicali e quindi ascoltare musica senza dover acquistare per forza la musica (questo ovviamente prima dell’avvento di Spotify). Sicuramente era anche una piattaforma per farsi due risate guardando video di qualsiasi genere e tipo, di stampo tendenzialmente amatoriale.

Nel frattempo però, c’è stato chi con YouTube ci è cresciuto. Alcuni di quei bambini lasciati al ristorante in balia dello smartphone, ormai sono più grandicelli e hanno mangiato pane e youtuber per anni.

L’altro giorno ho avuto la conferma di essere vecchio. Tutte le testate online che si occupano di tecnologie e social commentavano con sorpresa l’abbandono da parte di Marzia Bisognin della sua floridissima carriera da youtuber. Ora, onestamente non ero nemmeno a conoscenza della sua esistenza, né del suo nome d’arte: CutiePie; ovviamente conoscerlo avrebbe ucciso sul nascere ogni mia intenzione di guardare i suoi prodotti video.

Ad ogni modo sembra che qualcosa stia accadendo nel mondo dei vlogger. CutiePie si ritira, Favij e alcuni colleghi lamentano un calo, imputato alla piattaforma, di migliaia di visualizzazioni e molti utenti si spostano su Instagram. C’è già chi la chiama rivoluzione, a me sembra solo il passaggio di una generazione.

Ma la questione non si può liquidare così in fretta. Favij nel video, diventato virale, spiega come il crollo delle visualizzazioni sia stato fulmineo, troppo repentino e drastico per essere imputato a un calo di interesse nei suoi confronti. La cosa curiosa è che ha coinciso con l’annuncio della chiusura di Google+. Cosa c’entra? C’entra e lo spiega proprio il vlogger più famoso d’Italia. Google+ è il social network strettamente connesso a Youtube, tanto che per commentare sulla piattaforma video, bisogna possedere un account su questo social network quasi sconosciuto. Guarda caso, la piattaforma annuncia la chiusura e vengono registrate centinaia di migliaia di visualizzazioni in meno…Tra l’altro chiude dopo aver annunciato (con molta calma) un data breach che avrebbe messo a rischio i dati personali di 500.000 utenti, insomma bene, ma non benissimo!

Per ora nulla di certo, comunque, e la riflessione che ci rimane in testa è quanto sia importante la community più della piattaforma stessa. Lo vediamo anche con Instagram. “La gente sta su Instagram” è la frase che sento ripetere più spesso nell’ambiente del marketing. Effettivamente alle persone piace la comodità di una piattaforma polivalente, ma ancora di più alla gente piace ritrovare e parlare con i proprio amici. E se prima erano tutti su Facebook e lì potevi messaggiare, condividere foto, video e news, ora tutto questo lo puoi fare (in maniera diversa sicuramente) su Instagram.

E su Youtube?

p.s. se lo dite agli under 16 che Youtube è morto vi prendono per pazzi. Sarà che loro l’accesso alle piattaforme “adulte” non lo possono avere, l’app Youtube è sempre la regina nel consumo dati di un/a teenager!

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Condé Nast contro la crisi schiera gli influencer sotto la guida esperta dell’inventore di Ferragni

La carta stampata è in fin di vita?

Che l’editoria non si occupi solo più di carta stampata, seppur patinata, lo avevamo capito da almeno una decina di anni. Contenuti digitali e transmediali la fanno da padrona. Oggi, però, non basta ancora. Il mondo editoriale è una giungla in cui sono in pochi ad avere le risorse necessarie per sopravvivere. Non è questo il caso di Condé Nast che con la sua storia secolare (fondata nel 1909) e le sue pubblicazioni internazionali di successo (Vanity Fair, Vogue, The New Yorker) non rischia di chiudere i battenti, ma ha risentito come tutti del crollo degli introiti pubblicitari della carta stampata.

La sfida è quindi quella di rinnovarsi, continuamente. Condé Nast Italia, per farlo, si è inventata la Condé Nast Social Talent Agency: la prima agenzia di influencer ad essere gestita da un gruppo editoriale, e che gruppo. A gestire il tutto sarà un vero social-guru, anche se il suo nome potrebbe non dirvi molto, si tratta di Riccardo Pozzoli, colui che ha creato l’impero Ferragni prima dell’era “Ferragnez” e che con Chiara, oltre che il business, divideva anche la vita privata. Con i suoi 27 influencer italiani e internazionali è il più grande incubatore di social talent in Italia.  Chi sono i prescelti? In parte sono i diplomati dalla Condé Nast Social Academy: una scuola nata per formare veri e propri professionisti dell’influencing marketing (e qui torniamo al discorso che fare solo i giornali non basta più). Altri sono stati scelti per coprire diversi settori, dal food al travel, ma con un criterio comune di base: la qualità. Più dei numeri nella scelta, ha pesato lo storytelling e le cose che i prescelti hanno avuto e avranno da dire, tanto che la parola d’ordine è #ShareRealTalent: atleti, attori, registi, fotografi saranno gli ambassador rappresentati dall’agenzia.

Il direttore ha spiegato una cosa per noi evidente, ma che molti faticano a capire: la focalizzazione, oggi che il mondo social è maturo, non sono i numeri, ma l’engagement!
I contenuti originali, vincono sui bombardamenti sponsorizzati. Non sono stati scelti professionisti del nulla, ma persone che avessero qualcosa da dire di interessante e relativo alla loro nicchia lavorativa e al loro mondo di passioni. Non dei tuttologi.

Pozzoli stesso ha dichiarato: “Il contenuto è al centro dei nostri pensieri, perché rappresenta la risposta a un bisogno condiviso da utenti e investitori. I nostri talent sono creatori di contenuto capaci di restituire più che la semplice immagine”.

Stiamo a vedere cosa combineranno i nuovi professionisti dell’influencing marketing di alta gamma. SIamo sicuri che ci sarà da imparare e da ripostare!

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Tim Cook: “Sulla privacy prima l’etica, poi la legge”

L’amministratore delegato di Apple ha pronunciato delle parole importanti in occasione dell’International Conference of Data Protection and Privacy Commissioners 2018 in corso a Bruxelles. Tim Cook ci ha tenuto a sottolineare l’importanza della privacy da un punto di vista etico ancor prima che legale, sottolineando quanto Apple abbia sempre salvaguardato i dati personali dei propri utenti.

La strada da percorrere, a detta di Cook è quella di una legge americana ispirata alla nostra GDPR.

“Non è vero che regolare il mercato significa limitare lo sviluppo. Al contrario: lo sviluppo della tecnologia dipende dalla fiducia che le persone possono coltivare in quella tecnologia”.

 

Parole sagge, ma gli USA ci stanno?

 

 

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Fuori e dentro la Rete: il nostro pensiero sull’ultimo rapporto Censis

Un paio di giorni fa è uscito l’ultimo rapporto Censis sulla comunicazione. Non ci sono grosse novità. Internet è, come sappiamo, molto diffuso, ma forse non quanto pensiamo. Se non fa grande scalpore l’idea che tra le persone più anziane internet sia a disposizione solo del 42,5 % del totale, ci risulta strano pensare che 1 su 10 dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni non abbia accesso alla rete. Per noi è oggi una cosa scontata. Così come ci laviamo i denti la mattina consultiamo i social o le app con le news del giorno. Siamo iperconnessi senza rendercene conto. Proviamo ora a immaginarci una vita senza internet.

Saremo liberi da fake news, da gossip, da ogni tipo di indiscrezione voluta e non voluta sulla vita delle persone che sono tra i nostri contatti…non male no?
Però, se fossimo dei ragazzi non ci sentiremmo penalizzati?

Oggi anche le scuole sono quasi del tutto digitalizzate: registri elettronici, materiale didattico digitale, tutto si è spostato dal cartaceo ai diversi device ovviamente, sfruttando la rete.
In quest’ottica la rete non è solo l’autostrada dell’intrattenimento, ma riscopre la sua natura di utilità e condivisione di conoscenza, così come è stata pensata d’altronde. La Rete nacque infatti nel 1989 al Cern di Ginevra per l’agevole scambio di informazioni tra scienziati che lavoravano al medesimo progetto. Questo dovrebbe essere il nobile esempio che guida gli utilizzatori della Rete di tutto il mondo. Uno strumento di arricchimento, dove certo può trovare spazio l’aspetto più ludico della comunicazione, lo svago e anche il gossip perché no.

Ma la Rete dà il meglio di sé quando viene usata per scopo professionale o di apprendimento e condivisione. D’altronde nel nostro mestiere di comunicatori, la usiamo constantemente e senza non potremmo svolgere il nostro mestiere. In poche parole non esisteremmo, per lo meno come Web Agency … La studiamo, la usiamo, proviamo ad arricchirla e a farci arricchire al tempo stesso. Insomma per noi la Rete è tutto. Dal processo di creazione interna, all’output finale e alla divulgazione dei nostri prodotti creativi.

Non vorrei certo essere tra quella piccola percentuale senza Internet, che tanto a chiudere il browser si fa sempre a tempo!

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Adam Mosseri dichiara guerra al cyberbullismo su Instagram

Il nuovo gran capo di Instagram vuole sconfiggere il cyberbullismo sfruttando il machine learning.

In questi giorni si sente parlare spesso di machine learning. In parole povere si tratta di una branca dell’intelligenza artificiale che riguarda la capacità delle macchine di “imparare” da una serie di dati, dall’esperienza, se vogliamo, e in base a quanto appreso, attuare delle decisioni. Il machine learning si può applicare alla guida autonoma (le auto senza pilota o con pilota passivo) o più banalmente a catalogo di Netflix che cambia in base alle nostre scelte.

Oggi Instagram vuole utilizzarlo per un nobile intento: la lotta al cyberbullismo. Ad annunciarlo è Adam Mosseri, da pochi giorni a capo della ricchissima piattaforma digitale. Esiste già, infatti, il classico metodo di segnalazione da parte degli utenti in caso di post ritenuti in qualche modo violenti o inadatti alla policy aziendale, ma da oggi un algoritmo complesso analizzerà i nostri post video e fotografici e gli annessi testi, a caccia di elementi che possano ricondurli a un atto di bullismo. A quel punto i post in oggetto verranno sottoposti a un team dedicato che provvederanno a una verifica di natura “umana” e non automatizzata, per cercare di essere quanto più precisi possibili.

Una bella iniziativa, sicuramente, sia eticamente, che in termini di reputation per il neo-eletto chief di Instagram. Anche il bullismo, infatti, sta al passo coi tempi e da anni si è spostato in maniera massiva sui social. Un argomento complesso quanto delicato. Proprio per questo la soluzione ideata da Instagram sembra essere più che buona. Le macchine individueranno tutti i post “sospetti”, ma sarà poi il giudizio umano a valutare di caso in caso gli eventuali provvedimenti, scongiurando così anche di penalizzare l’innocente sarcasmo!

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Il peso di un’assenza digitale vs la leggerezza di una buona presenza digitale

Come piccola agenzia di comunicazione il nostro compito è andare a cercare sempre nuove opportunità, nuove lead, nuovi possibili clienti che ci diano fiducia e che comprendano come a volte affidarsi ad una realtà mediamente piccola può voler dire trovare uno straordinario compromesso di qualità e prezzi interessanti: paragrafando un inflazionatissimo slogan, “artigiani di qualità”.

Oggi voglio raccontarvi della presenza digitale, anzi dell’assenza digitale, di un’azienda dalla storia estremamente significativa.

L’azienda è una importante realtà metalmeccanica con reparti di stampaggio acciaio, lavorazioni meccaniche che operava principalmente nel settore automotive ma che ormai da anni spazia in ogni direzione con il suo nuovo reparto di progettazione, prototipazione e fabbricazione di materiali meccanici on demand. Insomma se uno legge la descrizione dell’azienda uno può pensare di essere davanti ad una delle tante eccellenze italiane che porta lustro al made in italy nel mondo.

E l’azienda è proprio questo.

Un’azienda storica che è partita dal mondo della metalmeccanica di una volta e che oggi ha decisamente più ingegneri e tecnici ad elevata alfabetizzazione informatica piuttosto che lattonieri o meccanici. 

Ma, incredibile a dirsi, questa azienda ha una presenza digitale veramente trascurata. Un sito realizzato anni fa in flash che toglie ogni tipo di lustro o prestigio a quella che è veramente un’azienda sana e innovativa. Pensate che la prima volta che l’ho cercata su google e ho aperto il sito mi sono chiesto se l’azienda non fosse chiusa o avesse avuto problemi finanziari.

Quando riesco ad entrare in contatto con la proprietà quello che mi raccontano è una triste storia condivisa da molte aziende italiane di oggi.

Lei è quello dei siti vero?”. “Si beh veramente non solo del sito …”.

Non riesco a finire la frase che l’imprenditore mi interrompe con “voi che fate web mi avete chiesto un capitale per fare una cosa che non funziona, ci avete messo mesi per realizzare tutto, chiedendomi testi, foto, slogan, dove avrei potuto fare fuoco e fiamme e invece non ho neanche capito come fare ad entrarci”… “e meno male che non abbiamo spostato anche le mail come ci avevano consigliato, se no mi sarei perso tutto”. 

Insomma la solita situazione in cui negli anni d’oro del web, si è creato un sito “custom” in 6 lingue prendendo i contenuti direttamente dal cliente e il preventivo è stato di “troppe migliaia di euro“.

Ma il vero problema è che oggi se hai una presenza digitale non adeguata, hai un problema.

Oggi tutti ti cercano su Google e se il risultato è un sito di 5/10 anni fa, il pensiero è che la tua azienda sia stata travolta dalla crisi o qualcosa di simile.

Oggi però fortunatamente per realizzare un sito vetrina – anche in sei lingue si! – con un testo ottimizzato un minimo per i motori di ricerca, con immagini meno bulgare e che racconti al mondo quanto l’azienda sia innovativa, piena di futuro e di opportunità per i propri dipendenti, clienti e fornitori … tutto questo si può fare in poche settimane di lavoro e il prezzo non è più nelle decine di migliaia di euro. Anzi.

Dopo un lungo lavoro ai fianchi, siamo riusciti a convincere la proprietà a darci credito e sinceramente spero che sia un bel biglietto da visita per convincere altre aziende a realizzare un sito vetrina che dia lustro e la giusta importanza alla loro “impresa”.

 

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I colori del tuo brand non li scegli tu

I am feeling blue, diceva sempre Marco, un mio vecchio compagno di università depresso quando voleva giustificare la sua pigrizia. Non è una cosa rara associare uno stato d’animo a un colore; quando uno si sente blu, tendenzialmente è un po’ giù, ma è una cosa che deriva in toto dalla cultura americana, qui in Italia è più facile usare il nero. Sono nero, se sono arrabbiato, di umore nero se sono anche un po’ triste.

Ogni colore infatti ha un significato. Non intrinseco solitamente, ma influenzato da fattori storico sociali, oltre che dalle immediate reazioni che stimola (ricordiamoci che anche in questo caso però c’è un retaggio culturale che le guida).

Quando decidiamo di che colore dipingere la nostra camera da letto o il nostro salotto, ci chiediamo che sensazione vogliamo che rimandi. Vogliamo il giallo per farci sentire allegri e creativi sempre, da quando ci alziamo a quando ci corichiamo la sera, e il verde in salotto per far sapere che il nostro animo è green, è eco-chic.

I colori e il loro significato

Sì, i colori parlano, non smettono mai di farlo e quindi dobbiamo riflettere molto bene prima di sceglierne uno per rappresentare la nostra azienda. Logo, sito web, immagine coordinata, sono già un messaggio implicito di ciò che siamo e di ciò che proponiamo al cliente, non solo in termini di offerta tangibile, ma anche di mood.

Si sprecano gli imprenditori che fanno del proprio colore preferito (o peggio ancora dei colori della squadra del cuore) i colori del proprio brand. Non è saggio, devo dirvelo. Non è una scelta che va fatta di pancia! Se l’irrazionalità è pericolosa già nei sentimenti, figuriamoci in affari, per carità. Esistono delle regole, non solo psicologiche ma anche banalmente estetiche.

I colori interagiscono tra loro, alcuni in maniera positiva per l’occhio e quindi per la nostra mente, altri in maniera meno efficace, se non fastidiosa.

Quindi step n.1 capire cosa vuole comunicare il nostro brand, senza fare l’errore di identificarlo con noi stessi o con le persone che ci lavorano. L’azienda è un’entità terza con la sua personalità che può essere anche volutamente molto diversa da noi come individui… se può tranquillamente esistere un titolare di pompe funebri molto allegro nel suo privato, difficilmente esisterà un’immagine coordinata di pompe funebri che sfrutti tutti i colori dell’arcobaleno. Business is business.

Pensate, inoltre, che esistono diversi livelli di complessità. Alla base ogni colore ha una inclinazione “naturale”, il rosso è energia, il viola è glamour, ecc. Ma l’immagine di un’azienda comprende quasi necessariamente più di un colore. E qui la faccenda si complica. E arriva lo step. n.2: la corretta scelta dei colori aziendali dev’essere necessariamente frutto di uno studio di mercato ragionato sulla volontà di posizionamento del brand e sulla capacità del cliente di coglierne le giuste intenzioni. Si tratta di un processo che non può avvenire leggendo questo articolo o guardando uno schema riassuntivo delle emozioni che i colori suscitano. Occorre fare uno step in più e rivolgersi a chi lavora da anni per studiare immagini aziendali coerenti e di successo.

Chiudi gli occhi e immagina la tua azienda in una grande stanza. Di che colore vedi le pareti e tutti gli arredi? Ripeti questo giochino con tutte le figure chiave della tua azienda, e magari anche con qualche cliente, e raccogli i loro commenti. Potresti scoprire quanto la realtà sia distante dalle aspettative e quanto tu possa aver bisogno di intervenire per avvicinare il percepito con il reale.

Non esitare a contattarci per parlarne insieme.

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Google sorpassa Facebook, con il tifo della stampa

Qualche giorno fa, in uno dei tanti gruppi di discussione mi sono trovato di fronte a un commento in merito alla “stampa”, da parte di un imprenditore abbastanza importante, che mi ha lasciato sorpreso: “Quello lì è un giornalista: trattatelo bene perché ha in mano l’informazione e l’informazione, si sa, è potere”.

Nelle scorse settimane abbiamo anche parlato di come Facebook stia passando un periodo complesso, tra l’accusa di essere il principale diffusore di fake news nel mondo e alcune nuove ricostruzioni sui motivi del cambio di algoritmo effettuato da Zuckerberg negli ultimi mesi. Inutile dire che le ricostruzioni provengono dal mondo della stampa ed è ormai abbastanza risaputo che tra Facebook e la stampa non corra assolutamente buon sangue.

La stampa, infatti, accusa da mesi la piattaforma social più conosciuta al mondo di essere propagatore di una “verità” differente da quella che da sempre i media classici hanno raccontato al proprio pubblico. L’avvento del social, e quindi l’aver dato a tutti gli utenti il potere di dire la loro con lo stesso grado di “voice”, ha probabilmente creato la bolla di speculazione comunicativa che ci ha raccontato Wired nel suo articolo.

Tutto vero? Probabilmente sì, ma d’altra parte – come abbiamo già detto – Facebook, se usato al massimo delle sue potenzialità di community aggregator & news feeder, ha le carte in regola per diventare un vero e proprio crack in grado di creare e distribuire uno stream di comunicazione differente da quello “ufficiale”.

Ma la terza legge della dinamica ci insegna che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. La decisione che il nuovo goal è “time we all spend on Facebook is time well spent” non è passata del tutto inosservata, e pare non solo nei confronti del mondo dell’informazione.

A quanto pare, anche per Facebook “piove sul bagnato” e dalle ultime statistiche sembra che negli ultimi mesi ci sia stato un sorpasso che ha dell’incredibile.

Google ha infatti rimpiazzato Facebook come top referrer per i publisher.

L’infografica apparsa qualche giorno fa su Statista.com ci mostra come a partire dal 3° trimestre 2017 Google abbia sopravanzato Facebook sia a livello di desktop (e questo lo sapevamo già tutti) sia a livello di mobile, come fonte principale per portare traffico all’interno delle piattaforme di informazione mondiale!

Incredibile.

Facebook Mobile sta velocemente precipitando verso una paradossale disfatta (-32%) nei confronti di Google proprio in una delle aree su cui Zuckerberg aveva maggiormente puntato come driver di affermazione di FB come piattaforma di comunicazione globale: l’informazione.

Sicuramente Facebook non si è fatto molti amici nel mondo dell’informazione globale negli ultimi anni ma pochi potevano prospettare una disfatta di tali dimensioni anche soltanto sei mesi fa (periodo in cui secondo l’infografica di Statista, il sorpasso era già avvenuto). Una disfatta la cui provenienza non deriva dal mondo dell’informazione ma è sancita dagli utenti stessi.

Le statistiche sono come i bikini. Ciò che rivelano è suggestivo, ma ciò che nascondono è più importante, diceva Irving R. Levine, ma in questo caso i numeri ci dicono che dopo essere stata messo al bando dal mondo dell’informazione, anche gli utenti hanno deciso che Facebook non sia più la fonte maggiormente rilevante per trovare nuove notizie all’interno del panorama digitale. Google invece oggi ha oltre il doppio dei click da parte degli utenti verso le principali piattaforme di informazione globale. A quanto pare il “time well spent” non prevede da parte degli utenti la fruizione di contenuti informativi!

Un tradimento da parte dei publisher ci stava ma quello da parte degli utenti, credo che Zuckerberg proprio non se l’aspettasse.

I tecnici oggi parlano delle importanti migliorie che gli Accelerated Mobile Pages di Google possono avere avuto in questa bruciante sconfitta da parte di Facebook ma sinceramente credo che tutti leggendo queste parole possano solamente sentire il rumore di unghie sul vetro!

Facebook ha perso il suo forward momentum non solo nei confronti del mondo dei diversi establishment, ma anche e soprattutto nei confronti dei suoi utenti. Quei miliardi di utenti che ne hanno deciso fino ad oggi la crescita e la sua incredibile fortuna, iniziano a guardarsi attorno alla ricerca di nuove fonti di “ispirazione” e “informazione”.

Come già successo per Apple, anche Facebook è stata risucchiata dal gruppo degli inseguitori? L’azienda che doveva cambiare il mondo del web, è stata cambiata dal web?