Categorie
Tendenze Web

Il marketing deve sposare tutti i metodi di digital payment.

Viviamo in un’epoca rapida, dinamica, distratta. La nostra attenzione dura sempre meno, come dichiarano allarmati studiosi e scienziati ogni giorno. Con un’attenzione “volatile” come quella del 2019, chi vende deve puntare molto sul acquisto impulsivo: vedo→ clicco→ compro e poi chi ci pensa più. Cosa può fare il marketing insieme alla tecnologia per spingere su questo versante?  La parola d’ordine è digital payment.

C’è chi ha già puntato tanto sull’innovazione dei pagamenti, a partire dalle banche, chiaramente.  Banca Intesa Sanpaolo è capofila con 11,9 milioni di clienti di cui 8 milioni sono clienti multicanale; il colosso bancario sta puntando in modo massiccio sulla digital transformation e su un pubblico sempre più giovane, per la precisione parliamo di un piano d’impresa 2018-2021 che prevede circa 2,8 miliardi di euro di investimenti proprio per l’innovazione digitale. Un esempio di pagamenti senza troppo pensieri sono i jiffy pay, oggi Bancomat pay, un servizio che permette l’invio immediato di piccole somme di denaro a un contatto della rubrica mediante l’app. Il trend sui digital payments infatti mostra un vertiginoso aumento della transazioni, ma si tratta perlopiù di piccole cifre.

Allora come si può muovere invece il marketing per sfruttare a suo favore un mercato di clienti sempre più impulsivi e distratti?

Innanzitutto occorre puntare su campagne studiate ad hoc per il mobile, perché come abbiamo accennato è lì che muove il nuovo mercato. I primi step è quello di esserci: non solo siti responsive, ma anche app dedicate se si ha un numero di potenziali utenti che giustifichi l’investimento. Sfruttare i social, chiaramente, concentrandosi sulla loro visualizzazione mobile infine rendere rapidissimo il passaggio tra presentazione prodotto/servizio e pagamento effettivo. Perché come dicevamo, l’acquisto è compulsivo e se il percorso tra incuriosire e transazione fosse troppo lungo, l’utente potrebbe essere distratto da 10 altre notifiche nel frattempo! Ma soprattutto il marketing non perde la sua natura, a prescindere dalla piattaforma che sfrutta.Quindi la cosa più importante è profilare e studiare le abitudini dei propri potenziali clienti.  

Ma anche i negozi fisici possono beneficiare dell’innovazione digitale che ha coinvolto il mondo dei pagamenti. Per loro si tratta di un’arma a doppio taglio, se non stanno al passo con i tempi rischiano di essere tagliati fuori, ma se riescono ad attrezzarsi possono fidelizzare e invogliare i clienti a spendere. Satispay è la risorsa più sfruttata per facilitare i pagamenti. L’app infatti consente di effettuare tramite smartphone pagamenti verso negozi o altri utenti, per un massimo di 200 euro a settimana. I contanti sono una specie in via di estinzione, soprattutto per alcune fasce d’età. I negozi che faticano addirittura ad attivare i pagamenti POS più tradizionali, nonostante gli esercenti siano obbligati per legge ad attrezzarsi per i pagamenti tramite bancomat, sono direi spacciati.

La direzione è quella di andare verso le operazioni meno tangibili, seppure perfettamente tracciabili. La sensazione di “aprire il portafogli” è sempre più pesante, molto più leggera è la sensazione di un click per ottenere, invece un bene tangibile in cambio. Anche in ambito Finance, a farla da vincitrice è la cosiddetta “experience” che deve essere positiva e incoraggiante, verso le prossime spese a cuor leggero!

Nei prossimi giorni però vi racconteremo i dettagli di quelli che sono i principali strumenti di digital payment analizzando al meglio pro e contro delle varie soluzioni.

Categorie
Tendenze

Kawasaki colora di verde il Museo Fratelli Cozzi

Lunedì il Museo Fratello Cozzi si è tinto di verde Kawasaki.

L’azienda giapponese ha infatti scelto di ambientare la consueta cena di gala annuale, organizzata per premiare i concessionari italiani più virtuosi, proprio nella location di Legnano. Quest’anno, poi, Kawasaki festeggia 50 anni sul mercato italiano e ne ha approfittato per fare le cose in grande.

Per noi di Villa Consulting è stata una sfida e un piacere gestire la serata, che è riuscita alla perfezione. Un grande evento come questo è l’occasione ideale per entrare in contatto con un sacco di gente proveniente da contesti diversi ed è difficile e sfidante accontentare tutti.

La sfida, appunto, inizia presto la mattina con l’arrivo degli allestitori e dei fornitori, ognuno con le proprie esigente chiaramente. Richieste che spesso cozzano tra loro in una guerra all’ultimo centimetro. Il nostro compito è quello di essere in parte mediatori, in parte dittatori. Conosciamo molto bene la location e possiamo permetterci di dire con certezza come è meglio disporre alcuni elementi fondamentali oppure quali cose sono assolutamente da evitare per la sicurezza dell’evento. Su questo non possiamo transigere e i 30mila passi percorsi dalla mattina fino a tarda sera sono la testimonianza più evidente della nostra passione.

Ci trasformiamo anche in registi all’occorrenza quando viene fuori qualche intoppo tecnico tra videoproiettori, device di varia natura e formati video. E state certi che di supporto c’è sempre bisogno! L’importante è farsi trovare sul pezzo sempre, esserci sia fisicamente che con la testa. E tutto fila che è una meraviglia tra un bicchiere di Prosecco e una Kawasaki Ninja ZX che sta lì a farsi ammirare in tutta la sua sportività.

ll Museo Fratelli Cozzi è una location così particolare e affascinante che difficilmente delude.

Che tu sia giapponese o italiano, che tu lavori per Kawasaki o Vodafone, quando scendi le scale del Museo e ad accoglierti trovi le tavole imbandite circondate dai modelli Alfa Romeo che hanno fatto la storia, è facile rimanere senza parole. Anche questa volta si è scatenato l’applauso degli ospiti colpiti da tutta quella bellezza sui generis: dove la storia incontra il mito e ti gusti un piatto di tortelli mentre ammiri il profilo del “gobbone”.

Categorie
Tendenze

La GDPR de noartri

Questa settimana ogni utente che abbia un qualunque tipo di presenza digitale ha ricevuto decine e decine di messaggi da parte dei più svariati operatori presenti sul web che, con formule più o meno divertenti, accattivanti, rassicuranti… raccontavano che finalmente dopo anni di attesa la famosa General Data Protection Regulation è entrata in vigore.

La cosa che ho trovato più utile di tutta questa faccenda è stata l’opportunità di realizzare una mappa più o meno precisa di chi avesse la mia mail in archivio e mi sono sorpreso nel trovare siti/aziende di cui non ricordavo nemmeno l’esistenza.

Non sono certo qua a raccontarvi cosa sia la GDPR, in fin dei conti adesso su Radio24 ci sono pure le pubblicità che raccontano di straordinari software compliant alla GDPR, quello che mi piacerebbe fare oggi è un’analisi della comunicazione fatta dagli operatori su questa “delicata faccenda”.

Vi confesso che via via che ricevevo tutta queste pletora di messaggi inutili, la prima reazione è sempre stata quella di cancellarli immediatamente. Oggi invece sono rientrato nel mio fedele “cestino” e ho recuperato tutti i messaggi e li ho letti uno per uno. Esperienza unica!

Prima di tutto ho scoperto che una mia vacanza in Trentino anni e anni fa ha compromesso la mia presenza digitale. Devo aver chiesto preventivi per quel viaggio parecchi hotel e B&B della zona e da bravi altoatesini tutti questi signori a distanza di anni mi tengono ancora nel loro database e mi hanno comunicato i loro adempimenti in termini di GDPR.

La seconda considerazione è che nel periodo in cui lavoravo nel mondo delle risorse umane, ho lasciato i miei dati in decine e decine di portali di ricerca di lavoro e da loro non ho ricevuto assolutamente nulla.

Al netto di questi due piccoli aneddoti, è triste dire che dal punto di vista della comunicazione (e non parlo in termini legali su cui non voglio e non posso intervenire) praticamente tutti quelli che mi hanno scritto hanno perso l’occasione per tenere la bocca chiusa.

Prendo spunto da una grandissima testata editoriale: “coerentemente con l’impegno di XXXXXX (di seguito “XXX”) a offrire i migliori servizi ai propri lettori, abbiamo modificato alcune delle nostre politiche per rispondere ai requisiti del nuovo Regolamento Europeo per la Protezione dei Dati Personali (GDPR). In particolare abbiamo aggiornato la Privacy Policy e la Cookie Policy…”

Poi, dopo una lunga descrizione su quanto è stato pensato, ideato e fatto, con cura e nel totale interesse dell’utente e del suo diritto alla privacy, il messaggio chiude con una straordinaria affermazione:

Abbiamo condotto un’accurata indagine sui consensi che i nostri utenti hanno prestato, riscontrando la loro rispondenza ai principi del GDPR. Pertanto, consideriamo i consensi che ci hai fornito in precedenza come validi anche alla luce della nuova normativa e noi continueremo a trattare i tuoi dati personali e tu a usufruire dei prodotti e dei servizi senza necessità di dover fare alcunché.”

STRAORDINARIO! Veramente straordinario.

Io non sto parlando di legge, di regolamenti, di cose da fare o da non fare. Sto parlando di comunicazione. Mi hai detto che hai studiato, hai pianificato, hai agito, hai realizzato… poi alla fine proprio sugli ultimi 200 metri della lunga maratona, hai fatto “un’accurata indagine” e ti sei accorto che continuerai a trattare i dati senza necessità di dover fare alcunché.

Mah …

La più bella comunicazione l’ho invece ricevuta da Cristian Galletti di Webgriffe che in maniera molto piacevole e divertente ha scherzato su questo obbligo di legge (obbligo?) e dopo una serie di esilaranti prese in giro su questo tema ha chiuso con un “Ora un ultimo sforzo… lo sappiamo che non ce la fai più, ma cliccando sul pulsante sottostante potrai leggere la nostra nuova e “accattivante” informativa sulla privacy: ti consigliamo la lettura se in particolare hai problemi di sonno!”

Ecco, come vedete con un po’ di cervello si riesce a comunicare anche una cosa noiosa come la GDPR in maniera accattivante e distinguendoti dalla massa.

Anche se devi comunicare qualcosa di spiacevole, comunicare non vuol dire mettere una parola dietro l’altra e basta!

Quasi quasi copio anch’io la comunicazione e mando pure io qualcosa di irriverente, anche se non ho capito ancora se devo mandarlo al database che ho in azienda, sul telefonino, su LinkedIn, su Facebook, sulla mail (quale mail?)… va beh adesso ci penserò su…

Ah, p.s. ma qualcuno ha ricevuto uno stralcio di comunicazione sulla GDPR da parte di un ente statale? Ma l’Ospedale Niguarda (giusto per prendere l’ultimo dove sono andato a passare qualche giorno di piacevole relax) in cui i miei dati sono a disposizione di tutti gli operatori sanitari è GDPR Compliant?

Categorie
Social Tendenze

Una “social promozione” incredibile

Ormai luglio sta finendo e sui social network si sprecano i consigli su cosa scrivere ad agosto, cosa leggere durante le ferie, cosa fare durante le agognate vacanze. Mi stavo preparando a scrivere l’ennesimo post di questo tipo quando ieri mi sono imbattuto nella social promozione perfetta.
Per anni ho seguito corsi su corsi in merito alla SEO, alla lead generation sui social, agli algoritmi più folli e astrusi che i motori di ricerca prima e i social poi creano e modificano periodicamente per rendere sempre più complicata la vita ai marketer che provano a sfruttare al meglio il mondo social: il posto dove la gente c’è!

Ma ieri pomeriggio mi sono scontrato contro la vera e propria “campagna” social fai da te dal successo assolutamente assicurato!

Domenica, giornata afosa e noiosa. Decidiamo di andare a pranzo in un locale vicino a casa nostra dove si cucina di tutto. Cinese, Giapponese, Italiano, Brasiliano, Mongolo, Griglieria on demand, gelati, dolci… Locale pieno zeppo (nonostante la periferia milanese sia deserta), con tutte le tipologie di clientela possibili e immaginabili. Giovani, anziani, italiani, stranieri, bambini, ragazzi. Tutti ovviamente in lotta per la sagra dell’abbuffata in questo all you can eat di medio livello (va beh, non si può pretendere pure la super qualità) ma oggettivamente piacevole, nonostante il frastuono imperante.
Prezzo per tutto questo incredibile marasma culinario? Euro 14,80 bevande escluse. Beh dai ci può stare in quel di Milano un prezzo del genere. Ricerca spasmodica per un posto macchina (in quel di Bresso dove oggettivamente a volte è difficile trovare una persona camminare per ore!), ricerca ancora più spasmodica per un tavolo e via, si possono aprire le danze.
Tralasciando la parte commestibile, non sono un fan del cibo quindi non sarei credibile, arrivo dritto dritto alla fine del pranzo.
Ci mettiamo in coda alla cassa e vediamo tutti con il telefono in mano che fanno concorrenza a Pokemon Go sbattendo freneticamente i tasti sugli smartphone per poi mostrarlo alla gentilissima signorina in cassa (guarda caso cinese!).

“Scusi signora, posso chiederle cosa sta facendo?”.
“Ti fanno lo sconto del 10% se condividi la loro immagine promo su Facebook!”.

Scusa? Sì, si abbiamo capito bene. I signori applicano lo sconto – sullo scontrino arriverà la dicitura “Sconto Condivisione Social” – del 10% sul prezzo del menù fisso a chiunque mostri il telefonino con il loro post condiviso sulla propria bacheca.

Alla modica cifra di 1,48 euro a persona quel ristornate ha raggiunto tutti i follower di tutte le persone che ieri hanno mangiato lì. Meno di un euro e mezzo e tutti i miei amici hanno ricevuto la notifica che io ho mangiato in quel locale.

Facciamo un po’ di calcoli.
Ieri a pranzo a parer mio sono passate almeno 400/500 persone per quel ristorante.
Il costo dello sconto potrebbe essere quindi tra i 600 e i 750 euro (ovviamente non tutti hanno usufruito dello sconto visto che non tutti hanno Facebook!).
Facciamo conto che ogni utente abbia tra le 150 e le 300 connessioni. Non stiamo parlando di amici, ma di connessioni, potremmo parlare del famoso numero di Dunbar relativo alla struttura delle relazioni sociali, ma adesso stiamo parlando di reach vera e propria. Persone fisiche che sono in contatto con te sul tuo social preferito e che vedono come notifica le azioni che tu realizzi su quel social.

Quindi Excel alla mano: investimento tra i 600 e i 750 euro di sconto. Reach potenziale tra le 60mila e le 150mila persone.

Prendiamo Facebook Ads e proviamo a fare una simulazione con le stesse cifre creando una campagna per quella stessa pagina, andando a inserire qualche parametro relativo alla ricerca. Con un investimento tra i 600 e i 750 euro la copertura giornaliera stimata da Facebook è tra le 60mila e le 190mila persone.

Cifre relativamente simili. Dove sta la differenza? In questo caso stiamo parlando di Pubblicità. Stiamo parlando di un’azienda che promuove il proprio prodotto. Un’azienda che paga una cifra per parlare di sé. Inserisce i suoi contenuti all’interno di tutti i contenuti per promuovere il proprio prodotto.

Nel caso reale invece di cosa parlavamo? Di 400/500 persone che parlano in prima persona della loro esperienza presso quel ristorante e fondamentalmente invitano tutti i propri amici (con una notifica!) a provare anche loro quell’esperienza.

Voi pensate che il 10% di sconto sia un numero casuale? Secondo me assolutamente no. I proprietari hanno fatto i loro bei calcoletti su Facebook e hanno visto quale fosse il costo per raggiungere quel tipo di pubblico e definito il loro “mancato guadagno” come costo promozionale diretto del proprio ristorante.

Da campagna pubblicitaria su Facebook a Facebook come vettore pubblicitario indiretto: è proprio vero che i social, al di là di tutti gli algoritmi, sono ciò che gli utenti decidono di renderli.

Questi signori hanno reso Facebook la loro meravigliosa indiretta cassa di risonanza, senza dare un euro diretto a Facebook e rendendo felici i clienti che hanno pranzato da loro.

Siamo sicuri che lo sconto del 10% sia stato solo casuale o hanno calcolato il costo di Facebook Ads e lo hanno convertito in sconto alla clientela?

Categorie
Strategia Tendenze

Quale ruolo ha la pubblicità nell’educazione civile e sociale?

La domanda me la sono posta leggendo le critiche piovute addosso all’ultimo spot CocaCola destinato al pubblico medio-orientale (qui il video).

La pubblicità mostra un uomo arabo dare lezioni di guida alla figlia e offrirle una CocaCola per infonderle coraggio di fronte alle sue incertezze al volante.

Premessa: In Arabia Saudita il re Salman ha annunciato che anche le donne potranno guidare, cosa ancora vietata nel Paese che rimaneva così baluardo di arretratezza.

Ora… le critiche sostengono che l’azienda americana sfrutti la “conquista” di questo diritto per fare marketing. Ma un pensiero sorge spontaneo: e quindi?

Uno spot Coca-cola, come immaginerete, ha un’enorme diffusione e fintanto che non veicola messaggi “sbagliati” direi che il problema non sussiste. Partendo dal presupposto che non è compito della pubblicità educare alla parità dei diritti, di genere e quant’altro. Personalmente credo che implicitamente e involontariamente la pubblicità abbia un potere straordinario. In quest’ottica chi la crea e la produce può (e dovrebbe) supportare le cause civili. Ma come?

Non si tratta di schierarsi apertamente per alcun soggetto debole. Spesso la cosa migliore è usare setting e ambientazioni che normalizzino il contesto sociale ideale da “promuovere”. Sarebbe il modo migliore per “educare” gli spettatori/acquirenti.

In quest’ottica, CocaCola non solo non ha sfruttato nulla, semmai ha appoggiato e sostenuto la battaglia per la parità di genere in Arabia Saudita, mostrando una nuova realtà, attualizzando cioè il fatto che da giugno 2018 le donne potranno guidare.

Questa cosa la sanno fare molto meglio di noi all’estero. Su tutti i paesi scandinavi, che da anni combattono (senza armi) per la parità di genere. Semplicemente uscendo dagli stereotipi di genere che modellano il mondo dei giocattoli, influenzando le abitudini e le aspirazioni dei bambini fin da piccolissimi.

In Svezia, ad esempio, una famosa azienda di giocattoli ha reso il suo advertising gender neutral. Non ha fatto grandi sermoni sulla parità di genere, semplicemente ha dato per scontato che anche i bambini maschi potessero giocare a dare il biberon alle bambole e che alle bambine potesse piacere sparare con un finto fucile.

Banalizzando dei messaggi che – ad esempio qui in Italia – sono ancora futuristici, se non blasfemi, si fa la gran parte del lavoro per il cambiamento dell’immaginario comune, quindi per la sua evoluzione.

La pubblicità veicola messaggi. Che voglia o non voglia. Tanto vale che veicoli quelli giusti o presunti tali.

Ben venga la donna araba che si tracanna la CocaCola. Non fa torto a nessuno, ma cambia l’immaginario della donna araba chiusa in casa a educare i figli.

L’ADV non ha e non deve avere la pretesa di salire in cattedra. Ma può veicolare immaginari “migliori” rispetto agli stereotipi sessisti o peggio ancora razziali che spesso riportano.

Se si riesce a fare pubblicità bene e in modo etico, tanto di guadagnato soprattutto per chi la fa, perché oggi i consumatori non scelgono solo il prodotto, ma anche chi lo produce!

Ma tornando a parlare di colori… CocaCola ha scelto da sempre il rosso per il proprio brand. E voi?

Categorie
Social Tendenze

Zuckerberg preso a schiaffi dai suoi ex dipendenti: Facebook gli è sfuggito di mano?

Il 12 febbraio è uscita su Wired USA un’inchiesta che mette sotto accusa il colosso Facebook e in particolare la gestione degli ultimi due anni da parte del suo creatore, Zuckerberg. Oltre 60.000 battute che picchiano duro sul volto dell’inventore del social network più diffuso al mondo, tanto che la copertina del magazine rappresenta proprio Zuckerberg con il volto tumefatto.

L’articolo raccoglie una serie di interviste rilasciate da dipendenti ed ex-dipendenti della compagnia. Secondo alcuni di loro, Facebook avrebbe “toppato” negli ultimi due anni, peccando di ingenuità, nel migliore dei casi, e di faziosità nel peggiore.

Innanzitutto va ricordato che Facebook nasce nientepopodimeno che ad Harward per mettere in contatto gli studenti tra loro. Studiato quindi per uno user di altissimo profilo culturale, non poteva prevedere una diffusione tale e una così variegata amalgama di utenti. Veniva creato con lo slogan “Facebook aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita”. Queste le premesse.
I primi di noi che si sono iscritti qui in Italia, ormai una decina di anni fa, probabilmente ricordano la diversa natura del mezzo. Si accedeva al sito per scrivere “ciao” sulla bacheca di un amico in Erasmus e poco più. Man mano che gli iscritti crescevano, e con loro le potenzialità del mezzo, sicuramente le cose cambiavano. Tanto che ora ci facciamo delle grasse risate a rileggere ciò che ci ripropone l’apprezzatissima funzione “accadde oggi”.

Oggi Facebook è molto meno “buffo” e personale (non meno ridicolo a volte) ma è diventato una faccenda seria. Così seria da essere difficilmente gestibile per il giovane ex studente di Harward che fatica a comprenderne non tanto le potenzialità, quanto le ombre.
C’è chi lo vede come tutt’altro che ingenuo, il ragazzo. A me pare che la sua idea originaria fosse invece molto romantica e che con l’andare degli anni abbia perso il controllo della macchina, forse anche giustamente distratto da una vita privata che lo ha assorbito, in parte, dalla maniacale richiesta di attenzione che richiede uno strumento del genere.

I primi problemi sono iniziati quando Twitter ha preso a dare fastidio e Facebook, per sovrastarlo, ha lasciato più spazio alle news. Ma Facebook non è Twitter. Privato e pubblico, oggettivo e soggettivo si mischiano vorticosamente, facendo venire nausea e confusione a chiunque. Zuckerberg allora costituisce una squadra per gestire i trending topic, perché non siano governati solo da un algoritmo ma “guidati” da giornalisti veri. Risultato: viene accusato di favorire le notizie pro-democratici e, da buon idealista qual è, questa cosa lo fa incazzare.

In effetti il ragazzo è uno che tiene alla parità dei diritti uomo/donna, che promuove la pace e combatte le differenze. Uno così non avrebbe certo votato Donald Trump.
Eppure pare proprio che sia vero il contrario, che Facebook abbia giocato un ruolo chiave (e inconsapevole) nell’ascesa del tycoon al potere, grazie alle numerose fake news che hanno invaso Facebook durante la campagna elettorale americana, sfavorendo la concorrente Hillary Clinton.
Immaginatevi come potesse reagire un ragazzo poco più che trentenne, accusato di aver cambiato le sorti del Paese e forse del mondo. Ha certamente avuto paura.
Così paura che voleva lavarsene le mani. “Se gli editori vogliono andarsene da Facebook, che se ne vadano”, ha più volte dichiarato. Ma poi ha inserito sulla piattaforma USA il primo strumento di fact-checking. Insomma non sapeva più che pesci pigliare.

Nel 2018 la grande rivoluzione: il cambio di algoritmo… un ritorno al passato, lo ha chiamato. Siamo tornati al romanticismo harwardiano del Zuckerberg ventenne. Io ci credo che voglia tornare ai bacini in bacheca mandati ai cugini in argentina. “Vogliamo assicurarci che i nostri prodotti non siano solo divertenti, ma buoni per la gente”. Più qualità, più amore cosmico e magari meno condanne morali e responsabilità. Nonostante la diffidenza dei mercati, nonostante il rischio di perdita di investitori. Mark va avanti come un treno, come sempre. Speriamo un briciolo più consapevolmente, questa volta, del potere della macchina che pilota.

Se poi per una volta preferisce la qualità alla quantità, non possiamo biasimarlo, è quello che cerchiamo di fare anche noi. Nel lavoro, come nei social.

PS: spero che Mark intervenga sulla sua piattaforma prima che il Governo Federale lo faccia a tutela della famosa “sicurezza nazionale”. L’analisi di Wired US è implacabile nell’evidenziare come Facebook, se usato al meglio delle potenzialità (community aggregator & news feeder), oggi sia lo strumento perfetto per piegare la realtà e mettere a repentaglio alcune basi della democrazia moderna come noi la conosciamo. L’alert da parte dei Servizi Segreti italiani sulle prossime elezioni non sono quindi solo una boutade. Se sai usare bene Facebook, riesci a farti eleggere o a non far eleggere il tuo avversario?

Qui l’articolo originale

Categorie
Strategia Tendenze

Marketing Automation? Sì, ma fatta bene

Oggi voglio spiegarvi cos’è la Marketing Automation per me e a cosa serva all’atto pratico. In poche parole, il termine Marketing Automation indica l’utilizzo di software che servono ad automatizzare specifiche attività di marketing. Lo scopo è snellire e migliorare il nostro modo di acquisire nuovi clienti in modo automatico.

Cosa rappresenta per me la Marketing Automation?

Questo strumento mi permette innanzitutto di implementare l’efficacia di ogni strategia programmata ottimizzando le tempistiche, poiché l’attuazione è veloce senza compromettere l’autenticità dei contenuti, che restano quelli prodotti dalla mia azienda.

Inoltre, è un aiuto concreto nel raggiungimento dei miei obiettivi di business.

La Marketing Automation permette di incrementare le entrate della mia azienda e quelle dei miei clienti guidando il traffico verso il rispettivo sito web, acquisendo nuovi contatti che quindi diventano potenziali clienti.

Il centro di questa strategia è proprio la conversione di contatti in clienti. Per noi, professionisti del settore, è fondamentale imparare a usare bene questi strumenti perché ogni errore inciderà direttamente sulla nostra immagine o, peggio ancora, su quella dei nostri clienti. E, detto tra noi: chi ha davvero voglia di passare al telefono mattinate intere ad ascoltare le lamentele di un cliente e interi pomeriggi a risolvere tutto?

A tal proposito ho pensato che, condividendo alcuni consigli basati sulle mie esperienze professionali, avrei potuto fornire linee guida importanti.

Noi abbiamo provato sui nostri clienti alcune attività di automation e vi posso assicurare che ci sono stati risultati incredibili. A una condizione, però: che il traffico sia gestito in maniera adeguata altrimenti, anziché tanti potenziali clienti, otterremo solo persone insoddisfatte!

Il primo consiglio è di non intraprendere strategie di automatizzazione senza aver prima ridefinito i vostri obiettivi. I nostri propositi possono e devono variare a seconda della strategia che decidiamo di usare. Questi strumenti non devono condurci a strategie che non porteranno benefici ai nostri clienti. Dobbiamo avere sempre ben chiare le loro richieste.

Un altro suggerimento è di integrare alle strategie di Automation Marketing quelle di Inbound Marketing. Bisogna continuare a fornire contenuti utili e interessanti anche quando si usa un software per l’automatizzazione.

Infine, lasciate perdere i messaggi generici: sono fastidiosi e inutili. Se volete buoni contenuti, fateli scrivere a chi lo fa di mestiere: affidatevi a un copywriter. Lui saprà raggiungere il target che i vostri clienti vogliono catturare. Saprà cosa dire e come dirlo.

L’ultimo consiglio riguarda proprio la relazione con i vostri clienti. Prendetevi cura di loro. Letteralmente. Ascoltateli per ore, giorni e anche mesi, se necessario. Rispettate i loro desideri e indirizzateli verso le scelte più convenienti. Incoraggiateli con il vostro lavoro e fate in modo di diventare tanto indispensabili da spingerli a chiedere il vostro aiuto anche in futuro.

Avete bisogno di un team di esperti? Noi lo siamo e sapremo guidarvi verso la strategia più adatta per il vostro brand.

La nostra professionalità è al vostro servizio e la nostra pazienza infinita.

Categorie
Strategia Tendenze

I tuoi giorni migliori non sono in vendita

La nostalgia, lo abbiamo letto ovunque, è letteralmente “il dolore del ritorno”.  Non un dolore lacerante, ma quella piacevole sensazione che ti contorce lo stomaco quando un volto che non fa più parte della tua vita ti torna in mente di sorpresa. Ti incanti fissando il vuoto, ti culli in un ricordo.

Perché tutte le persone che non ci sono più, tutte le storie finite e tutte le cose che non possiamo più avere, le ricordiamo più belle, più rosee di come non fossero in realtà? A rispondere è la psicologia, si tratta di un errore cognitivo definito retrospettiva rosea.

Il marketing della nostalgia sfrutta proprio questo inganno della mente per colpire il consumatore proponendo una grafica vintage, reinventando prodotti già in commercio da decenni o addirittura riproponendo beni precedentemente ritirati dal mercato.

Il marketing della nostalgia è così efficace che sono gli stessi consumatori a farlo. Così dimostra la vicenda Winner Taco. Il gelato rivestito di cialda e cioccolato fece il suo debutto sul mercato italiano nel lontano 1998 e in realtà durò solo pochi anni. Dopo un silenzio di oltre 10 anni i suoi fan hanno iniziato una vera e propria campagna di protesta per ottenere il ritorno dell’Orso Bianco. A suon di troll e meme che hanno invaso le pagine di Algida e dei maggiori prodotti di punta del brand, i fedelissimi del Taco sono riusciti nel loro intento: nel 2014 il Winner Taco è tornato ad allietare le estati italiane, facendo felici i nostalgici che hanno da allora potuto rimpiangere altri oggetti di culto.

Tutte le grandi aziende sono cadute nella tentazione del marketing nostalgico. A partire da Coca-cola, che ha celebrato con una massiccia campagna comunicativa un secolo di storia della iconica bottiglietta in vetro, festeggiato il 16 novembre 2015. Lo ha fatto anche l’industria cinematografica tirando fuori dal cilindro il sequel di film che hanno segnato un’epoca come Trainspotting o It. Anche Fiat ha dato il suo contributo per riportare il mondo un passo indietro. Ha rispolverato prima la gloriosa Fiat 500 e recentemente la 124 Spider, un’icona di spensieratezza e aria tra i capelli. Sembra che tutto il mercato remi all’indietro.

La nostalgia, il ricordo delle cose passate – come suggerisce William Shakespeare – è l’unica àncora fissa a cui appigliarsi nell’epoca delle incertezze.

Il marketing della nostalgia non solo funziona, ma è anche redditizio. Ha un target preciso: gli odierni quarantenni. Persone che solitamente hanno un potere di acquisto superiore ai giovanissimi poiché godono di un impiego fisso trovato prima che la crisi esplodesse con tutta la sua forza. Non è solo una questione di disponibilità economica, ma di impostazione mentale. Chi è stato giovane negli 80s è per natura più propenso a spendere, che i soldi ci siano o no. Cosa non si fa per un pezzo di cuore. Per battere i figli a Super Mario Bros sul Nintendo 64.

Potete comprarvi un vinile degli Smiths, parlare al telefono con il 3310 e scattarvi una bella polaroid di gruppo. Quel che noterete però è che non sarà mai bello come allora. E poi vuoi mettere i selfie con l’IPhone?

Categorie
Strategia Tendenze

Come e perché attuare una campagna di marketing sms

Sappiamo già che la gestione di un business non si ferma alla fidelizzazione dei clienti già acquisiti ma spesso punta ad acquisirne altri. Eppure, in un contesto frenetico come quello attuale, è sempre più difficile ritagliarsi del tempo per ideare e sviluppare un’attività di marketing efficace. Inoltre, anche il pubblico a cui ci si rivolge rischia di essere troppo distratto perché le campagne di marketing abbiano davvero un senso.

In seguito a quanto ho appreso in un Webinar di 4DEM, nostro partner usuale nel direct marketing, vi spiego perché spesso è meglio basarsi su una campagna sms piuttosto che su una campagna email.

Gli sms rappresentano un canale privilegiato – più del 95% degli italiani possiede un cellulare, nella maggior parte dei casi uno smartphone. Il tasso di apertura di un sms è del 97% e la sua efficacia è massima, soprattutto se rapportato a un’email.

Quando una campagna non è troppo insistente, per di più, gli utenti sono ben disposti nei confronti di offerte e promozioni arrivate tramite sms, essendo immediati e, passatemi il termine, facili. Inoltre, il canale sms si presta a un’ampia varietà di prodotti e mercati fino a coprirne quasi la totalità.

Di seguito vediamo quando utilizzare una campagna marketing sms e come massimizzarne l’efficacia.

Come detto in precedenza, gli sms sono immediati. Essendo immediata anche la fruizione, è consigliabile, soprattutto nel caso di promozioni flash, avviare la campagna il giorno o la sera precedenti a quello della promozione stessa. Il tutto finalizzato a massimizzare l’interesse del cliente, grazie anche all’imminenza dell’offerta.

Altri casi in cui è consigliabile utilizzare una campagna sms sono la promozione di eventi – con qualche giorno di anticipo e un promemoria a poche ore dall’inizio – e la necessità di ricordare scadenze o appuntamenti.

Affinché una campagna sms sia davvero efficace è necessario essere chiari e concisi. Less is more, e non a caso: stiamo prediligendo l’immediatezza, quindi non possiamo farla scadere in un messaggio lungo e contorto.

Altra caratteristica fondamentale è la riconoscibilità: optare, quindi, per una campagna in cui gli sms abbiano un mittente definito – evitando di essere i classici “no-reply”.

Di vitale importanza, all’interno di una campagna sms, è poi la Call To Action, che non può e non dev’essere fraintendibile: un link che conduca al sito o a una landing page, e una richiesta chiara e accattivante per il potenziale cliente.

Non esiste, per concludere, un momento giusto o sbagliato per inviare una campagna sms. Tuttavia, è meglio affidarsi sempre al buon senso: niente campagne prima delle 9 del mattino, né oltre le 21.

Categorie
Strategia Tendenze

Com’è andato l’e-commerce nel 2017? Bene, ma non benissimo (in Italia)

Più le nostre vite si fanno frenetiche e imprevedibili, più il settore e-commerce cresce e supplisce alle limitazioni dei negozi fisici. A dispetto di supermercati e ipermercati aperti sempre e comunque, la comodità di ordinare con un click vince, consentendo di scegliere tra milioni di prodotti differenti.

Consultando diversi report sull’argomento, risulta che siano 1,6 miliardi gli utenti in tutto il mondo che hanno acquistato prodotti on line, per una spesa di quasi 2 trilioni di dollari. Impressionante, eh?

I mercati più vivi, neanche a dirlo, sono quelli che possono permettersi di spendere (tendenza che caratterizza anche la vita reale!): Cina e Stati Uniti innanzitutto e, per quanto riguarda l’Europa, in testa c’è la Germania.

In Italia, si sa, siamo restii ai cambiamenti, ma Amazon è entrato nel cuore di molti di noi.

Come per il resto del mondo, i settori trainanti sono turismo e tempo libero (Airbnb, TicketOne, etc.); mentre ad aumentare il proprio giro d’affari negli ultimi mesi sono i settori di salute, bellezza e alimentari. Quest’ultimo dato stupisce in un Paese come il nostro, dove il cibo non è solo nutrimento ma un vero e proprio piacere. Tradizionalmente, anche fare la spesa è un momento a cui dedicare tempo e dedizione, per scegliere i prodotti migliori per qualità e prezzo. Oggi cambia anche questa abitudine, lentamente. Pensiamo a chi non ha un’auto a disposizione, a chi è anziano o vive fuori città, lontano da tutto. Oggi le principali catene di supermercati offrono un servizio di delivery rapido ed efficace con consegne stabilite nell’orario preferito dal cliente. Comodo, eh? Niente più casse di acqua faticosamente trascinate dalla macchina a casa o su per le scale!

Per non parlare della fortuna di Just-eat e Foodora che, grazie ai loro fattorini su due ruote, riescono a fornire nelle grandi città un servizio che i clienti (da studenti a imprenditori) sembrano apprezzare parecchio (mentre insorgono i sindacati per le paghe da fame dei giovani fattorini).

E il B2B?

L’ambito del business to business ha certamente regole del gioco diverse e di conseguenza lo stesso vale per il relativo e-commerce.

Se in ambito B2C, “la vendita” è un processo che può essere rapidissimo e logisticamente più semplice, quando si vende alle aziende invece di solito si parla di grossi quantitativi e di acquisti che vanno curati con maggiore attenzione da parte del cliente/azienda.

Diventa fondamentale, quindi, inserire ad esempio l’opportunità di fornire un preventivo al possibile acquirente, in modo che l’azienda possa valutare se procedere all’acquisto.

Imprescindibile è anche un’ottima gestione delle transizioni di denaro, che spesso riguardano grosse cifre, e la cui gestione deve rimandare un’idea (e una sostanza) di sicurezza e tutela dei dati, oltre a offrire l’opportunità di rateizzare l’intero l’importo.

Anche la natura del rapporto tra venditore e acquirente dev’essere gestita diversamente in ambito B2B. A differenza del B2C, infatti, i clienti sono di solito abituali, quindi diventa necessario curare particolarmente il customer service e la user experience, che dev’essere personalizzata e impeccabile. L’azienda acquirente deve sentire che dietro al “sistema e-commerce” ci sono persone fisiche che conoscono le loro esigenze e il loro business.

Ah, a proposito. L’altro giorno ero in una famosissima catena di elettronica di livello mondiale e dovevo comprare un Hard Disk da 1Tb per fare il backup di tutti i contenuti del mio pc di casa e ovviamente date le feste “il prodotto non era disponibile”. Mentre uscivo dal negozio abbastanza contrariato, sono entrato su Amazon e ho trovato lo stesso prodotto a 5 euro in meno e il giorno dopo me l’hanno portato direttamente a casa.

Bisogna dirlo: l’e-commerce se fatto bene è tutta un’altra cosa!