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La PA e l’app IO

La Pubblica Amministrazione prova a sbarcare su Mobile con l’app IO

Team per la trasformazione digitale. Che nome altisonante hanno dato a questo gruppo di tecnici IT con una missione nobile e ben precisa: creare il Sistema Operativo del paese, mettendo in comunicazione Imprese, cittadini e Pubblica Amministrazione da mobile con una grande app dedicata che si chiamerà IO

Quando si parla dell’Italia, oltre al sole e al buon cibo, si pensa, alla disorganizzazione e alla lentezza della burocrazia italiana. A Milano però sono un passo avanti, si sa. In questi mesi parte la sperimentazione di IO, l’app dedicata ai servizi della Pubblica Amministrazione, disponibile, per ora, per i cittadini della city lombarda.

Novità sicuramente interessante per i cittadini. Grazie alle credenziali del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) si può accedere comodamente da smartphone a una serie di servizi e informazioni che altrimenti costerebbero ai cittadini ore di attesa non sempre proficue.  Ma ancora più interessante è la svolta per i sistemi di pagamento online, primo tra tutti Satispay, metodo scelto come opzione effettuare le piccole transazioni attraverso l’app. Se la sperimentazione dovesse dare esiti positivi e l’app espandersi a macchia d’olio sulla Penisola, chiaramente gli utenti Satispay, già in costante crescita, dilagherebbero.

 

Ma non siamo sicuri del successo del Team. L’Italia ha un grosso problema di sfiducia nel sistema, ancor di più se si tratta di tecnologia. Il nostro paese è al di sotto della media europea per quanto riguarda la diffusione dei pagamenti cashless, sia online che da smartphone. Se da un lato il timore è eccessivo, dall’altro trova leva nella scarsa alfabetizzazione informatica e nell’inadeguatezza dei sistemi di privacy a protezione dell’utilizzatore di talune app e servizi. In effetti, se ci pensate, grazie a quest’app ci porteremmo in tasca dentro al nostro smartphone, non solo alla nostra situazione finanziaria, ma insieme ad essa la nostra cartella clinica generale, lo storico dei nostri rapporti con la Sanità pubblica e in generale una miriade di informazioni molto sensibili, tutte accessibile con un solo profilo utente. C’è quindi da sperare (e da convincere la cittadinanza) che gli standard di sicurezza siano adeguati, quindi altissimi per l’app che si chiamerà appunto IO. Io perché lì dentro c’è un po’ tutto di noi, in effetti.

Il messaggio dalle istituzioni però è positivo. Sarebbe cosa buona e giusta progredire con l’educazione su più fronti. Insegnare alla cittadinanza quanto è importante, ad esempio, avere sotto controllo la propria situazione tributaria per non incorrere in sanzioni inutili causate da distrazioni o vizi burocratici o quanto sia utile conoscere e consultare in maniera rapida e funzionale tutte le agevolazioni fiscali, i contributi pubblici o gli incentivi che spesso sono sconosciuti da chi potrebbe averne accesso! L’informazione, insomma, dovrebbe arrivare prima delle lamentele per la scarsa politica di welfare italiana. Uno dei più grandi problemi del sistema assistenziale italiano, non sono gli scarsi investimenti, ma gli investimenti inutili oppure poco pubblicizzati e quindi poco fruttuosi per i cittadini e di ritorno poco fruttuosi per lo stato stesso che appare poco generoso!

Si potrebbe dire che lo stato abbia bisogno di una comunicazione più efficace, ma partiamo dagli strumenti. IO sembra essere la direzione giusta, se tutto andrà bene, il lavoro di comunicazione ed educazione all’uso dovrà essere molto massiccio! Facile vederlo funzionare bene a Milano, sfidiamo a IO a ottenere gli stessi risultati nelle campagna della maremma!

 

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Il mio ghostwriter è differente

Quasi un annetto fa, la mia ghostwriter preferita si è divertita a scrivere un articolo sulla difficile arte del copy e di come i diversi clienti possano interpretare il risultato del tuo output finale, ma oggi invece voglio raccontarvi come da una banale news si possa andare a creare un articolo complesso e avvincente su tematiche al limite del paranormale.

Partiamo dall’inizio. Ormai da quasi due anni, noi scriviamo in ghost per un’importante realtà che opera nel mondo della sicurezza informatica. Tematiche complesse, divertenti, di moda estrema, avvincenti a volte quasi al limite della fantascienza e delle scenografie di uno 007.

Verso la metà dello scorso mese, in una delle mie tante serate a caccia di informazioni attraverso il mio fidato feedly, che mi aggiorna su qualsiasi argomento mi interessi, sia personalmente che per i clienti per cui lavoriamo, trovo un articolo molto interessante relativo ad un contest che si doveva tenere da lì a poche settimane in USA sulle migliori start up che operano nel mondo della cyber security.

Come sempre faccio, faccio il mio clic sulla pagina e bang. Mi trovo davanti ad una pagina con i nomi di tutte le start up invitate a questo contest e soprattutto leggo che tutti i precedenti vincitori degli enne anni prima avevano fatto un salto carpiato triplo all’indietro da fermo nel mondo sia della sicurezza sia della finanza. Insomma delle aziende col botto.

Cerco informazioni, convinto ormai che nel magico mondo del web ci sia una splendida landing page di presentazione dell’evento, di spiegazione delle company invitate, dei loro possibili speech di presentazione e … NULLA!

Cavoli. E adesso? Avevo un argomento fantastico, attuale, di cui nessuno aveva parlato in Italia, molto sexy, molto tosto e … non c’era nulla che mi potesse servire come traccia per iniziare a scrivere?

10 aziende. 10 link a 10 siti aziendali. Ok Ale, qua tocca fare il lavoro sporco, come si faceva una volta. Vi confesso che è stato un colpo di genio. Una giornata intera staccato da ogni forma di comunicazione esterna, si ogni tanto Telegram e il mio telefono si lamentavano della mia assenza dal mondo digitale ma … mi sono perso dentro il mio processo di analisi, di valutazione e di racconto di tutte le aziende. Ovviamente gli skill non sono solo quelli di scrittura, nel pezzo di cui sopra si parla sempre del cliente, in pochi si soffermano sul fatto che pochi sanno scrivere bene, che il copy è un lavoro, come lo è il programmatore, il grafico, il designer, l’insegnante, il pilota …

Va beh, gli skill di scrittura mescolati negli skill di web copywriting mi hanno rapito in un mondo di tecnologia super avanzata dove la prima sfida era capire chi fosse l’amministratore delegato dell’azienda. Trovare il profilo di Linkedin – pazzesco come CEO di aziende che stanno per fare il botto non abbiano un responsabile della digital reputation che sistemi i loro profili Linkedin prima di andare a fare lo speech più importante della loro vita – poi andare a trovare la loro mission. Sì la mission. Perché è nella mission che le aziende americane raccontano cosa fanno per i loro clienti. Si magari.

Anche le aziende di sicurezza informatica che stanno per presentarsi allo speech della vita … non sono in grado di sintetizzare in una frase o due quale sarà il vantaggio pazzesco che il cliente avrà scegliendo il loro prodotto.

E dopo il why, tocca andare a spiegare il come.

Sì, perché se sul why alla fine qualcosa la riesci a raccogliere qua e là nel sito, è il come che diventa veramente un disastro.

Perché per spiegare come un’azienda farà la differenza nella soluzione del tuo problema devi: capire il problema, capire la soluzione, spiegare il primo e il secondo in maniera che sia comprensibile a tutti i lettori.

Beh vi confesso che per alcune aziende è stato semplice riuscire a spiegare cosa facessero e dove fosse quel guizzo di genialità che poteva fare la differenza e il motivo per cui erano state portate a quel contest. Quando si inizia a parlare di mappatura olistica del grafo di grafici di tutta l’architettura di programmazione di un software con “tutte le interconnessioni all’interno dei vari livelli di codice e permette di identificare rapidamente le fonti di data leak, vulnerabilità critiche e violazioni della sicurezza/ compliance in anticipo e lungo l’intero ciclo di sviluppo del software” … ehhhh???

Va beh alla fine è stato veramente divertente andare a scartabellare in pagine su pagine di siti internet dai contenuti più o meno intellegibili e farli diventare qualcosa di interessante e di utile per il cliente.

La cosa più divertente sapete qual è stata? Alla fine ha vinto l’azienda che mi aveva attratto all’inizio di tutta la storia. Si quella su cui avevo letto la notizia sul mio Feedly. Tra dieci aziende che potenzialmente avevano la possibilità di fare il botto, ha vinto quella che aveva attratto la mia attenzione fin dall’inizio.

p.s. ecco i link agli articoli di quanto abbiamo scritto:

State of the Art della Sicurezza Informatica – Better is Better parte 1
State of the Art della Sicurezza Informatica – Better is Better parte 2

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Trenitalia e loyalty program: scivola sull’8 marzo

In questi giorni è sulle bacheche di tutti la gaffe di Trenitalia in occasione dell’8 marzo. L’iniziativa in questione prevede un gentile omaggio per le signore che consiste in una caramella al limone. Una caramella al limone. E non per tutte le viaggiatrici ma solo per le fortunate che viaggiano in executive o consumano un pasto presso il vagone ristorante, salvo esaurimento scorte. Insomma non un grande affare e certamente non una gran figura.

Come mai?

Partiamo dal presupposto che il tasto è dolente e per toccarlo Trenitalia avrebbe dovuto prepararsi meglio. L’8 marzo è una ricorrenza molto sentita e soprattutto oggi, sull’onda dei vari movimenti di rivendicazioni femminista di massa come il Metoo o Non una di meno. C’è da aspettarsi che qualsiasi iniziativa che riguardi questa giornata sia al vaglio delle stesse associazioni femministe.

La critica è quindi politica e sociale. Caramelle regalata solo a chi spende di più, alle altre non è concesso l’omaggio che celebra il loro essere donne.

Ma noi vogliamo analizzare un ulteriore aspetto della vicenda ed è il flop a livello di reputation e marketing. Vediamo insieme quando si utilizzano omaggi e promozioni per fare del buon marketing.

Parliamo per prima cosa di una prassi molto amata dagli italiani: i campioni omaggio!
I giovani rincorrono le hostess che distribuiscono sigarette o Redbull e le signore più in là con gli anni dimostrano eterna gratitudine a chi allunga loro un campione omaggio di crema antirughe, che regolarmente comprata costerebbe una buona fetta di pensione.
I campionoi omaggio funzionano, sia perché sono altamente democratici (vengono distribuiti a tutti indistintamente) e ci fanno assaporare qualcosa nella speranza che non potremmo più farne a meno. E a volte funziona, se il prodotto è davvero valido.

Un altro tipo di promozione è quella che si basa su scontistica, quindi denaro. In tal caso si fa leva sulla convenienza dell’affare, così conveniente da spingere all’acquisto anche di un prodotto di cui non si ha reale necessità o che non è di qualità eccelsa. Funziona più per le vendite una tantum che per la fidelizzazione del cliente.

Un discorso più complesso va fatto poi per i loyalty program che sono per loro natura continuativi e mirano alla fidelizzazione del cliente intrecciando anche diverse promozioni, dagli omaggi, agli sconti, alla semplice comunicazione diretta per coinvolgere il cliente in maniera diretta ad esempio sul miglioramento dei servizi/prodotti aziendali.

Possiamo semplificare dicendo che l’iniziativa Trenitalia potrebbe rientrare in un programma loyalty, ma diciamo anche che lo stanno facendo nel modo sbagliato. Loyalty vuol dire fedeltà, lealtà. Fiducia in senso lato.

Quando si omaggia qualcosa o si propone uno sconto, la fiducia sta nel patto che cliente e fornitore siglano silenziosamente. Fidandosi che lo sconto sia reale e la merce buona. Una caramella, in questo caso sicuramente omaggiata da Caffarel il cui nome appare in evidenza nel lieto annuncio, non sembrano un grande regalo alle donne clienti di Trenitalia. Intendiamoci le caramelle vanno benissimo se distribuite, a tutte, senza troppa pubblicità come gentile pensiero disinteressato. Ma fare del marketing sul nulla e riservando i benefit a un target molto ristretto di persone a fronte di una festa che invece riguarda indistintamente tutte le donne, è un brutto autogol da parte di un’azienda pubblica come Trenitalia.

A Trenitalia per fortuna lo hanno capito e l’annuncio è presto sparito dal loro sito internet, anche se rimane ben diffuso e deriso nel web che come sappiamo non dimentica. In compenso il suddetto annuncio ha lasciato posto a quello dello sciopero nazionale del personale del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane indetto per la giornata dell’8 marzo.

Le Frecce però circoleranno normalmente, zeppe di squisite caramelle al limone.

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Alibaba e l’omnichannel

Alibaba l’unico vero gigante omnichannel

Alibaba, colosso e-commerce cinese, ha tanto da insegnare e recentemente fa scuola su tutti i fronti.

Intanto per chi non lo sapesse il marketing omnichannel è quel marketing trasversale a più canali. Non solo, è un po’ come una teoria pacifista del mercato. Un modello per cui commercio online e offline non si cannibalizzano tra loro, ma anzi collaborano nella creazione di un unico mercato sempre più fruttuoso e allargato.
Qui da noi è una teoria piuttosto utopica. Siamo abituati a dividere le persone in due categorie: i pigroni che comprano online e quelli all’antica che vanno ancora nella bottega sotto casa. In mezzo? Il nulla. Chiaramente non è così, e una via praticabile esiste.

Ma vediamo cosa sta combinando egregiamente Alibaba.

C’è da premettere che le idee chiare già le aveva qualche anno fa, quando nel 2009 Jack Ma, fondatore del colosso cinese, scriveva in una missiva agli azionisti che in futuro l’e-commerce da solo sarebbe stato destinato a morire, se non si fosse alleato con altre forze. In particolare il quadro perfetto già prevedeva: online, offline, piattaforme logistiche e big data.
Mai previsione fu più precisa. Per farla divenire realtà, Alibaba acquista una piccola catena di supermercati, Hema, e la rivoluziona per consentire ai clienti del negozio fisico un’esperienza integrata digitalmente. I consumatori possono acquistare la merce mediante l’app e ricevere gratuitamente la spesa se vivono nel raggio di 3km dal negozio fisico, oppure la si può ritirare bella che pronta in un determinato orario: addio code e stress da corsia. Il negozio non è più solo un punto vendita, ma diventa piattaforma logistica. Infine si può anche scegliere la spesa fisica in negozio e la consegna a domicilio. insomma ce n’è per tutti i gusti e per tutti gli umori. Infatti i consumatori non sono più divisi in barricate, ma l’acquirente, magari anziano, che solitamente ama recarsi al negozio di persona e toccare con mano il prodotto può tranquillamente farlo senza poi doversi spaccare la schiena o chiedere aiuto a volenterosi giovanotti, che solitamente esistono solo nei film, desiderosi di portare le borse all’anziana signora.

Cosa accomuna i differenti modi di acquistare? un unico profilo utente. Un unico login. Da Hema infatti non esiste il pagamento in contanti ma solo via Alipay, il paypall dedicato di Alibaba. Non esistono dunque consumatori anonimi. Gli acquisti entrano tutti a far parte di un enorme database che organizza le info su cosa, come, con che frequenza acquistiamo. Un bell’affare per Alibaba. 800 milioni di utenti registrati in Cina e se a questo uniamo la forza dei cookie, capirete che quello di cui stiamo parlando è una fonte di ricchezza non trascurabile.

Per ora i risultati sono impressionanti: i clienti Hema acquistano mediamente 4/5 volte in un mese, con una conversione all’acquisto del 35% nell’app dedicata. Non male insomma quest’omnichannel.

E noi dove siamo rimasti? Probabilmente a sbuffare per le code in cassa il sabato pomeriggio, ma poi la spesa online, non sia mai, altrimenti poi come facciamo a lamentarci?